«Karamoja, ultimo lembo nordorientale di un’Uganda che è già quasi Kenya, terra dei karimojong, popolo guerriero di pastori semi-nomadi, legati da sempre alle loro mandrie bovine», racconta Paolo M. Alfieri su Avvenire. «Dimenticata per decenni da qualsiasi governo, da qualsiasi potere, considerata zona off limits per le frequenti violente razzie di bestiame», ma senza saperlo allora, era meglio così. «La Karamoja è oggi la nuova frontiera, una regione il cui sottosuolo in gran parte ancora inesplorato è diventato terreno di caccia per tante compagnie straniere. Uranio, cobalto, oro, argento, grafite, platino, sono almeno 13 i minerali rari scoperti una dozzina di anni fa in un territorio in cui le piogge limitate a pochi mesi l’anno e una situazione ambientale ostile avevano permesso solo ai karimojong di vivere».
Il governo di Kampala e il suo eterno presidente Yoweri Museveni, dopo le scoperte minerarie, ha iniziato a tagliare la savana con strade d’asfalto, «bitume liscio a pochi metri da capanne di legno e fango». Grazie ad Avvenire, scopriamo che gli appalti più grossi sono affidati a società cinesi, ed ecco l’Africa sempre più cinese di cui si parla tanto e si sa in realtà molto poco. Arriva la strada dietro gli interessi minerari, arriva lo sfruttamento per tutti. «Si estrae in maniera massiccia, con uno sfruttamento eccessivo della gente locale, impiegata quasi in schiavitù –denuncia monsignor Damiano Guzzetti, vescovo di Moroto, che vive in questa Africa ultima da 14 anni-. Il trucco è anche quello di lasciare entrare la gente liberamente in queste miniere a cielo aperto. Lì restano fino a 10 ore al giorno sotto al sole, pagati poco e a cottimo».
Sempre meno bovini anche a causa della riduzione delle fonti d’acqua disponibili, disarmati dei fucili per la caccia ‘per rendere la regione più sicura per le compagne stranieri’, «i karimojong sono passati di colpo dalla pastorizia alla miniera, dalla mucca al martello».
Secondo dati governativi di due anni fa, l’86% dei giovani non è mai stato a scuola, il 60% delle donne non sa né leggere né scrivere.
«All’inizio i minatori venivano pagati con alcoolici e così la diffusione di distillato illegale è diventata una vera emergenza. Cirrosi epatica prima causa di morte.
«Le compagnie minerarie vogliono sempre più terra, ma non c’è alcun coinvolgimento delle comunità, che restano ai margini, mentre la corruzione delle autorità dilaga –denuncia il vescovo-.. I cinesi stanno prendendo tutto. Hanno anche piani per due cementifici, ma non daranno molti posti di lavoro. La gente verrà messa da parte a casa sua, non è giusto che sia depredata».
Terra prima considerata inutile diventata strategica, un “land grabbing” selvaggio, accaparramento del territorio spesso senza alcuna compensazione.
Sono 51 le compagnie che già operano nella regione, molte di più le miniere spesso ‘artigianali’ dentro cui 20mila minatori lavorano senza alcuna protezione. Secondo il quotidiano Daily Monitor, oltre 1,49 milioni di ettari sono stati lottizzati in Karamoja per attività minerarie, che sottraggono erba dei pascoli e fonti d’acqua per uomini e bovini, ormai decimati. La cinese Sunbelt company, solo per citarne una, estrae marmo dalla zona di Rupa protetta da soldati dell’esercito ugandese.
Il centro giovani guidato da tre anni da don Sandro De Angeli, Ong Africa mission, cooperazione e sviluppo, uno staff di 170 locali e 18 italiani. Lo scavo di nuovi, un centro di aggregazione frequentato da 400 ragazzi, la formazione professionale per i giovani, che imparano a saldare, a cucire, a cucinare, ci sono progetti agricoli con produzioni biologiche. C’è, soprattutto, l’obiettivo di rinsaldare l’identità di una comunità smarrita.
«Per questi ultimi, in particolare, l’idea è quella di avere un luogo protetto: in diversi casi le madri sono prostitute o vendono alcool
A Kobulin, un’ora di strada da Moroto, 30 studenti tra i 15 e i 30 anni sono iscritti al programma “Nuyok”, “Nostro”, che coinvolge un centinaio di ragazzi. «In gran parte ‘returnees’, giovani karimojong strappati dalla vita di strada nella capitale Kampala, dove al più mendicavano, quando non venivano spediti nei riformatori.
All’anno zero dello sviluppo umano dove una civiltà ancestrale va scomparendo e centinaia di martelli si levano da mani indurite dalla miseria e dalla fatica.
«Tra polvere e sole, canti e sudore, è un’umanità dolente quella che si raccoglie all’ombra di qualche albero per spaccare grosse pietre senza sosta, donne e bambini soprattutto, piccole mani che diventano adulte troppo in fretta per pochi scellini. A poco a poco la pietra calcarea diventerà ghiaia da rivendere alle imprese che costruiscono strade. Un secchio mille scellini, 25 centesimi di euro».