«Big Five» gli imperi digitali che Trump non vuole siano tassati

Imperi digitali sul mondo

Apple, Alphabet (Google), Microsoft, Amazon e Facebook, le ‘big five’ dell’hi-tech valgono più del Pil della Francia, altro che i dazi che Trump ora minaccia se qualcuno in Europa oserà tassare le società americane che al momento comandano il mondo, lui compreso. Cinque sorelle digitali molto più potenti oggi delle antiche ‘sette sorelle’ del petrolio (quelle dell’omicidio Mattei, per chi ha memoria), con 3mila miliardi di dollari di capitalizzazione, soldi che hanno da parte. Più del Pil di un paese come la Francia per non parlare dell’Italia.

Ora l’Alieno atlantico

Le grandi compagnie tecnologiche Usa sono da tempo interlocutore decisivo della politica americana con cui i presidenti devono confrontarsi alla pari, «come con altri capi di Stato», sostiene Martina Catucci da New York. Anche se a volte fanno finta di litigare. «Durante un’intervista alla Cnbc Trump -prima di difendere a livello internazionale le aziende «made in Usa»- aveva affermato che Google, Facebook e Amazon lo “discriminano” e agiscono politicamente contro di lui». Poi, come sappiamo, vigilia elettorale per le presidenziali Usa, Trump decide una quasi guerra all’Europa per loro.

Troppo anche per gli Usa

Le cinque sorelle dei bit, troppo potenti anche per il modello democratico Usa. C’è la proposta della tcandidata democratica alle primarie, Elizabeth Warren di «fare a pezzi» i big dell’hi-tech. «Il progetto è stato presentato a marzo e prevede, tra le altre cose, di evitare nuove fusioni e di imporre alle aziende con un fatturato superiore ai 25 miliardi, di scindersi per evitare che diventino monopoli e inibiscano la concorrenza e l’innovazione. Se questo progetto venisse realizzato Facebook perderebbe Instagram e Whatsapp», scrive in Manifesto. Peggio, la proposta Warren di tassare con un’aliquota del 6% i patrimoni superiori al miliardo di dollari. Poverini

A pagare e morire c’è sempre tempo

Bill Gates, raccontano dagli States, sorride e invitato tutti i multi miliardari a farsi due conti in tasca che anche senza quel misero 6%restano piene da far schifo. Ma il resto dei capi delle big tech non ha sorriso, riferisce Marina Catucci. Peggio di tutti Jeff Bezos, a capo di Amazon, noto per essere l’uomo più ricco del mondo. «Nell’anno fiscale 2018 Amazon ha registrato quasi 11 miliardi di dollari di profitti, e nonostante ciò non ha pagato nulla, anzi: ha avuto un «piccolo» credito fiscale, 129 milioni di dollari. In un comunicato, Amazon ha ricordando che le tasse si pagano sui profitti non sugli incassi e i profitti di Amazon sarebbero ancora «modesti» a causa della competizione e dei pesanti investimenti». Povero Bezos.

‘Stok options’ e altri trucchi

Bezos non paga tasse grazie a un sistema che offre sgravi sostanziosi per investimenti in ricerca, in macchinari e –qui sta il trucco- per le ‘stock options’, i premi in azioni dell’azienda ai propri dirigenti che possono rivenderle quando il valore aumenta. Regalo a valore 100, immaginiamo venduta a 1000, e mille saranno anche i dollari che Bezos si scala dalla tasse avendone tirati fuori solo 100. Meccanismo perverso attaccato da Bernie Sanders che cita come esempio pessimo Netfix che oggi tutti rincorrono. «Il tuo abbonamento Netflix da 8,99 dollari -ha scritto Sanders- è più di ciò che la società ha pagato l’anno scorso in tasse federali (niente)».

Trump adesso litiga con mezza Europa minacciando dazi e quant’altro anche alla povera Italia se qualcuno oserà tassa gli intoccabili «Big Five»  

Tags: tasse Trump
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