
Un tempo ci baloccavamo col muro di Berlino che divideva i buoni dai cattivi. Da una parte i cattivoni comunisti, dall’altra i buoni occidentali che tendevano a mostrare la faccia migliore del capitalismo proprio perché dall’altra parte del Muro c’erano i cattivoni comunisti che, soprattutto in Italia, un certo seguito lo avevano. Caduto il muro, spariti i cattivoni comunisti, che cosa è rimasto del buon mondo occidentale? Che cosa è accaduto negli ultimi 30 anni sul piano della difesa del pianeta, della giustizia sociale, della lotta alla povertà? Cosa è accaduto in Italia? Niente.
Come se tutti i sogni, gli ideali di generazioni e generazioni fossero stati disciolti nell’acido della storia. Non esiste un progetto politico e sociale per affrontare i problemi del mondo, per contrastare un sistema economico che non ha altro fine che il profitto e che in assenza di politica non ha più avversari. Prepotente e infido, non agisce per fare propaganda, va oltre: agisce sulla mentalità. Attraverso una corsa informativa priva di senso, con un emergenzialismo fisso che ha reso perenne il livello di indifferenza verso le ingiustizie, di accettazione passiva delle sciocchezze che ci devastano.
Il solito barbiere maoista e alchimista, esercitando il rasoio del dubbio, chiede: a quale fine? Perché in questa nostra società hanno prevalso scelte talmente miopi da ridurci nel giro di qualche decennio in un Paese in ginocchio? Come mai non ci siamo mai accorti di niente? E quando ce ne siamo accorti abbiamo fatto finta di niente?
Quando il concetto di grandi opere inutili ha prevalso sul buon senso rurale delle piccole opere utili? Quando la spesa pubblica è diventata macchina perfetta per sostenere un certo tipo di profitto fine a se stesso? Il Mose non nasce da niente. E neanche il Tav. O altre azioni assurde e devastanti che creano dissesto e provocano conseguentemente catastrofi ed emergenze.
Qualcuno ricorda le vecchie analisi degli esperti, le promesse dei politici? Qualcuno chiede conto degli imbrogli? Delle cattedrali nel deserto? Dei soldi della collettività gettati via per favorire il profitto fine a se stesso? No. Non così spesso i media in bilico su quel sottile ricatto pubblicitario che anima la libertà di stampa. Eppure parliamo di soldi sottratti alla scuola, alla cultura, alla bellezza, alla difesa del territorio. Sono i soldi che finiscono sempre nelle stesse tasche in operazioni perfettine e inappuntabili. Inutili.
Vorrei tornare a vivere in una società che non ha paura di chiedersi il perché. Dove i partiti rappresentano gli interessi delle diverse fasce della società e non un monoblocco di interessi con diverse declinazioni. Una società dove non si deve discutere se una centrale crea un disastro ambientale con ricadute sulla comunità o no. Ma che si chieda se è più utile costruire ancora una centrale di un progetto di diffusione culturale, di ospedali che funzionino, di Tac che si possano fare in due settimane di tempo e non dopo sei mesi, di scuole pubbliche che non debbano rinunciare all’istruzione dei bimbi per mancanza di fondi.