Carbone e ancora carbone. Mentre nel mondo si vorrebbe tagliare l’uso del carbone per la produzione di elettricità per polveri e inquinamento che produce, la Cina non intende rinunciarci e sta rilanciando l’industria legata a quel fossile. Per gli studiosi non c’è dubbio, il carbone cinese in uso equivale all’intera capacità delle centrali europee, inoltre Pechino finanzia un quarto di tutte le centrali a carbone nel mondo.
Tutto nasce dal programma varato nel 2006 che doveva però termine nove anni più tardi. Il piano prevedeva il riscaldamento di 31 milioni di case. L’economia ne ha giovato ma diverse città cinese sono soffocate dall’inquinamento atmosferico.
Una situazione alla quale Pechino aveva tentato di mettere un freno nel 2015 bloccando la costruzione di nuove centrali ma in realtà nelle immense provincie del paese si è continuato a rilasciare permessi. Così a livello locale sono sorti impianti fino a 5 volte superiori rispetto al passato.
I ricercatori dell’Osservatorio Global Energy Monitor hanno usato una figura che rende bene l’idea di ciò che sta succedendo in Cina: «un serpente che ingoia una capra». Una sovraproduzione di energia che produce più problemi che vantaggi. I ricercatori affermano che tra il 2018 e giugno 2019, i paesi al di fuori della Cina hanno ridotto la capacità di carbone di 8,1 gigawatt (GW). Nello stesso periodo, la Cina ha aggiunto 43 GW. Pechino dunque è sulla buona strada per raggiungere i primi 1.100 GW entro il 2020.
Ma non è finita qui, perché in Cina i colossi dell’industria carboniera ed elettrica stanno spingendo per un aumento ulteriore della capacità di estrazione e uso di carbone del Paese. Tre diversi gruppi commerciali molto potenti propongono di aumentare la flotta di carbone del 40%. Una eventualità definita una «pura follia» dagli esperti.
Per Mark Lewis, responsabile della ricerca sugli investimenti di Paribas Asset Management, «questa nuova capacità aggiunta non produrrà mai il ritorno economico previsto. Quelle attività che stanno andando online adesso saranno essenzialmente risorse bloccate».
Se continuerà questo trend sarà sempre più improbabile che vengano raggiunti gli obiettivi sulla riduzione delle emissioni di Co2 stabiliti dagli accordi di Parigi. Entro il 2030 infatti la Cina dovrebbe ridurre la sua produzione del 40% per rientrare nei parametri ambientali e contribuire a mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2° centigradi.