Viva le sardine, e viva gli attivisti che cambiano il mondo

Va bene, siamo stati popolo viola, arancione, popolo dei girotondini, qualcuno anche grillino. Abbiamo applaudito Nanni Moretti in piazza, sperato a ogni giro di valzer in un cambiamento, anche di velluto; abbiamo festeggiato il ritorno della pantera, qualcuno è andato pure alla Leopolda pensando che stesse mutando la storia, altri si sono divisi frammentati scissi fino all’inesistenza politica. C’è anche chi è passato per Occupy, altri si sono avventurati fino a mettere la maschera inglese di Guy Fawkes, i più avanti hanno cantato Bella Ciao con la Casa de Papel su Netflix.

Ne abbiamo viste tante in questi anni di crollo verticale della politica e di uso mediatico di ogni anelito di speranza civile, di rivolta dolce che non sovvertisse troppo. Quindi, possiamo anche essere  sardine. Che c’è di male? Sardine strette strette e senza bandiere, senza simboli, solo con quello spirito ironico e avventuroso che hanno i giovani quando entrano in azione. 

Viva questi giovani che sono scesi in piazza, viva i loro sogni, le speranze, la voglia di non finire nel girone degli indifferenti, mentre un nuovo fascismo senza stivaloni e moschetti ci sta asfaltando il futuro. Metro dopo metro, devastando l’ambiente, cementificando ovunque, costruendo opere inutili e gigantesche, sottraendo fondi a scuole, cultura, spese sociali, rendendo i poveri più poveri, i ricchi più ricchi, tutti gli altri abbindolati in un sistema di valori che crea l’illusione di futuro e invece lo spegne. 

Viva questi giovani che, stretti come sardine, possano riscoprire il corpo che si muove in una piazza, la comunità, la volontà di manifestare non contro un leader provvisorio e fascisteggiante, ma contro il sistema economico e geostrategico che lo ha messo a fare lo spaventapasseri, contro la perdita dei valori che nel corso dei decenni ha fatto sì che sparisse nella discussione pubblica l’analisi critica della società in cui viviamo, svanisse ogni idea di giustizia sociale, si accettassero come dati di fatto immutabili i criteri dell’ingiustizia che regolano il mercato, il lavoro, lo sviluppo, l’interesse privato alla faccia del bene comune. 

Ci saremo? Sì certo. Autobus e treni, per un’azione flash fantastica e mediatica. Ogni lieve soffio di speranza ci dà vita, ogni volta che si vedono i ragazzi che si battono, siamo felici e speriamo che dopo accada qualcosa. Che si traduca il “contro” in un “che fare”.

Ce ne sarebbero di cose da fare. Ce ne sono. E tanti, tantissimi, lontano dai riflettori dei media, si battono ogni giorno sulle strade dei nostri paesi, nei quartieri. Contro l’ignoranza becera che crea ottusità e schiavitù, per far crescere la consapevolezza culturale di che cosa è giusto e che cosa lo è meno, di che cosa ci conviene come collettività e di che cosa è invece danno per tanti e profitto per pochi. 
Riscoprendo la politica, la partecipazione di lunga durata, l’attivismo senza onori pubblici, forse – sottolineo forse – metteremo a frutto il nostro impegno per cambiare il mondo. 

Per ora accontentiamoci della narrazione delle sardine. Continuando nell’ombra ad agire contro il pessimismo e contro il conformismo, in difesa dell’ambiente, della salute, della vita. Attivisti sempre: non solo dietro un simbolo mediatico o uno slogan, ma sempre nella comunità. Anche con piccole azioni, ma nella realtà della nostra esistenza.

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