
(ANSA) – WASHINGTON 19 NOV – Il Senato americano ha approvato una legge a sostegno del rispetto dei diritti umani e della democrazia a Hong Kong. Il testo, che va ora alla Camera, prevede sanzioni contro le autorità cinesi e hongkonghesi che violano i diritti e stabilisce una revisione a cadenza annuale dello status speciale di cui gode Hong Kong, con vantaggi commerciali ed economici concessi da Washington. […]
La Cina va all’attacco del voto unanime del Senato americano che ha approvato lo ‘Hong Kong Human Rights and Democracy Act’. Il portavoce del ministero degli Esteri, Geng Shuang, ventilando l’adozione di non meglio precisate ritorsioni, ha chiarito in una nota che Pechino “condanna con forza e si oppone con determinazione” alla mossa Usa che è “una interferenza negli affari interni della Cina”.
Erano dunque fondate le notizie riportate dal “Gobal Times”, il quotidiano in lingua inglese del Partito Comunista Cinese, secondo cui è possibile la proclamazione dello stato di emergenza a Hong Kong. La governatrice filo-cinese Carrie Lam non aveva escluso tale eventualità, ma è chiaro che la polizia dell’ex colonia si sta comportando come se lo stato di emergenza ci fosse a prescindere dalla sua proclamazione ufficiale.
Non si può spiegare altrimenti l’ordine impartito alle forze speciali di sgomberare a qualsiasi costo – anche con la forza – il Politecnico, vale a dire l’ateneo in cui la protesta ha da tempo il suo epicentro. Si noti che gli studenti asserragliati all’interno del complesso universitario si sono anche armati. Con armi fai-da-te, questo è certo. Archi e catapulte costruite in loco più bottiglie molotov in quantità industriale.
Tuttavia anche armi così rudimentali possono nuocere. Un poliziotto è stato ferito dalla freccia lanciata da uno degli archi di cui sopra, mentre le molotov anche colpito e incendiato alcuni blindati della polizia. Sale, a tale proposito, la richiesta di poter sparare quando venga posta in pericolo l’incolumità personale degli agenti, e vi sono segnali che essa potrebbe essere accolta. In tal caso si assisterebbe a una escalation non più controllabile.
Altro segnale interessante è la volontà di Xi Jinping e del suo gruppo dirigente di stroncare la rivolta ad ogni costo. Xi ha ribadito più volte che a Pechino non si tollera più l’attuale situazione di caos nella ex colonia britannica. L’Esercito Popolare di Liberazione, già presente in loco con un contingente, finora si è limitato ad aiutare i cittadini a ripulire le strade, ma ben presto potrebbe intervenire. A questo proposito alcuni organi di stampa hanno riportato che forze speciali cinesi sono già intervenute nello sgombero del Politecnico, ma mancano finora conferme ufficiali.
Nel frattempo il portavoce del ministero degli Esteri cinese Geng Shuang ha detto che “nessuno dovrebbe sottovalutare la determinazione della Cina nella difesa della sua sovranità e della stabilità di Hong Kong”. Dal canto suo il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito comunista cinese, ha scritto che il futuro di Hong Kong è al suo punto critico e “non c’è alcun margine” per i compromessi nella lotta contro i manifestanti anti-governativi.
“Quello che abbiamo di fronte – continua il Quotidiano – è la battaglia tra la tutela del principio ‘un Paese, due sistemi’ e la sua distruzione. Sulla questione, che coinvolge la sovranità nazionale e il futuro di Hong Kong, non c’è una via di mezzo e assolutamente neanche lo spazio per un compromesso”. Pechino non esiterà quindi a contrastare qualsiasi tentativo che minacci la sovranità, la sicurezza e l’unità nazionale.
Il fatto è che i manifestanti, o almeno buona parte di essi, di compromessi non vogliono neppure sentir parlare. Vanno avanti a forza di slogan come “tutto o niente”, e non vogliono il dialogo se la controparte non accetta le loro richieste di fondo: elezioni totalmente libere, Stato di diritto, libertà completa nell’insegnamento, accademico e non. Pechino non può fare concessioni così ampie perché minerebbero la struttura unitaria del Paese. Di qui lo stallo nell’impari lotta tra il Golia cinese e il Davide di Hong Kong.
Per finire va ancora una volta notato un fatto importante. In Occidente la solidarietà per i manifestanti di Hong Kong esiste, ma si colloca sul piano teorico. Nessun governante pare disposto a rischiare i preziosi rapporti con Pechino, come si è ben visto dalle dichiarazioni del nostro ministro degli Esteri Luigi Di Maio. I manifestanti dimostrano pertanto una certa ingenuità quando ipotizzano un intervento internazionale per aiutarli. Purtroppo nulla del genere accadrà, e si può solo sperare che accettino dei compromessi per scongiurare una nuova Tienanmen.