
«Crisi pilotata», a dire che segretamente si tratta, e a nascondere che tra i vertici della superpotenza indiana dell’acciaio c’è qualcuno che inizia a temere di aver sbagliato i conti due volte: prima a prendere promettendo quello che non è stato capace di mantenere, poi a mollare minacciando. E scoprire che non c’è solo il rischio di qualche miliardo che se ne va invece di arrivare in cassa, ma, per qualcuno di loro, persino la possibilità della galera: ovviamente solo per pesci piccoli rispetto agli intoccabili del palazzo imperiale di Londra.
«Ogni giorno che passa si aggrava sempre di più la posizione giudiziaria di Mittal», segnala Massimo Franchi sul Manifesto. «Nel gioco a tenaglia delle procure di Milano e Taranto, il gigante dell’acciaio indiano che ha deciso di dire addio all’Italia rischia di essere stritolato e costretto a tenere aperta Taranto e gli altri stabilimenti a lungo. Molto più a lungo del 4 dicembre da lei fissato per ridare stabilimenti e 10.700 lavoratori in mano ai commissari governativi dell’amministrazione straordinaria ex Ilva».
Versione confindustriale, Sole24 ore, pure più severa. Perquisizioni e sequestri negli uffici di ArcelorMittal di Taranto e in quelli milanesi di via Brenta dei documenti contabili che dovrebbero documentare le ingenti perdite segnalate dalla multinazionale. Il sospetto di una montatura, di numeri truccati che nel codice pena si chiama ‘aggiotaggio informativo’. Mentre i Pm milanesi pm contestano il reato di distrazione di beni del fallimento e di omessa dichiarazione dei redditi. Una sospetta ‘crisi pilotata’.
Procedura giudiziaria avviata, sorprese possibili infinite e tempi decisamente più lunghi di quelli che cercava di imporre il gigante indiani in casa altrui, con la prima udienza fissata per il 6 maggio. E la Mittal sarà comunque costretta a mantenere attivi i siti dovendo mettere in conto l’eventualità di doverseli riprendere a breve. «Un po’ quello che successe -con le dovute proporzioni- a Thyssen Krupp, che aveva venduto l’acciaieria di Terni ai finlandesi di Outokumpu, e che a causa dell’Antitrust europea se l’è dovuta riprendere nel 2013», ricorda Franchi.
E ieri l’Ilva in Amministrazione Straordinaria ha ammonito nuovamente ArcelorMittal anche su un altro fronte delicatissimo: «Per quanto attiene al personale dipendente e alle tutele ad esso dovute nella gestione dei rapporti di lavoro dei quali avete esclusiva titolarità, vi riteniamo responsabili di ogni condotta finalizzata a dismettere tali responsabilità nel vano tentativo di abdicare alla posizione di datore di lavoro per liberarvi degli obblighi e dei doveri che ne conseguono». Detto in borocratese, siete e rimanente pienamente responsabili nei confronti dei dipendenti che vorreste scaricare.
Giornata giudiziaria milanese. «Ieri i militari del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza si sono presentati negli uffici di ArcelorMittal in viale Brenta con un ordine di esibizione e uno di perquisizione: al setaccio gli uffici amministrativi di alcuni dirigenti, forse gli stessi che sono poi stati sentiti come «persone informate sui fatti» dal pubblici ministeri Stefano Civardi che con il collega Mauro Clerici e l’aggiunto Maurizio Romanelli». Nomi che ritornano, gli stessi inquirenti che avevano scovato il tesoro svizzero da 1,3 miliardi dei Riva ora utilizzato per finanziare le bonifiche a Taranto. Ottimo precedente, visto che adesso si stanno occupando del capitolo «magazzino», consegnato dai commissari italiani con 500 milioni di euro di materie prime ma che nel tempo sarebbe stato progressivamente svuotato.
Sospetto politico e assieme ipotesi di reato, quella di una crisi pilotata, montata. ArcelorMittal -scoperte le sue previsioni sbagliate e le difficoltà del mercato-, avrebbe ritenuto di non avere più interesse a investire nell’ex Ilva, e avrebbe fatto perdere valore all’ex Ilva per cercare di scaricare responsabilità e costi sull’Italia e sulla pelle dei suoi lavoratori.
Doppia-tripla inchiesta della Procura di Milano.