Morto un Califfo se ne fa un altro: soldi, armi, reclute e ideologia

Muore il Califfo nasce la ‘nuova Isis’

«La “nuova Isis” nasce nel segno di Saddam. Il “fantasma” iracheno, l’erede del Califfo». Titola deciso l’Huffington Post con Umberto De Giovannangeli che ci avverte che l’uccisione di Abu Bakr al-Baghdadi non segna la fine dell’Isis, ma per come e dove è avvenuto, l’ultimo atto del “califfo” rappresenta anzitutto una vittoria della Turchia come già aveva sostenuto ieri del nostro Piero Orteca. «Al-Baghdadi è stato eliminato in un’area del nord della Siria passata sotto il controllo di milizie qaediste reclutate da Erdogan per cacciare i combattenti curdi siriani dell’Ypg e dar vita ad una mega operazione di “sostituzione etnica”».

Trump, Erdogan, Assad, Putin

Trump, ora può dire che guerra al terrorismo è stata vinta, altra delle sue bugie, e condividere il ‘trionfo’ il 13 novembre prossimo alla Casa Bianca con turco Erdogan. «Sulla pelle (non è una metafora) dei Curdi, il popolo più tradito al mondo». Erdogan passa all’incasso, «nessuno oserà più mettere in discussione l’invasione turca del nord della Siria, ma tutto questo con la fine della guerra al terrorismo jihadista non c’entra nulla». Ma, annota, giustamente, Pierre Haski, di France Inter, su Internazionale, «Al-Qaeda, non è scomparsa dopo aver perduto il suo leader, e al contrario ha partorito l’Is. Le metastasi del jihadismo non sono ancora sotto controllo».

Erdogan Trump caccia mandato bis

Ad ognuno il suo terrorista di comodo, rileva Michele Giorgio su Nena News. Il turco Erdogan paragona l’ex Isis al Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan e al suo alleato in Siria, le Ypg che hanno sconfitto gli uomini di al Baghdadi. Ma gli stessi curdi, presi di mira da Ankara, dicono di essere stati loro e dare l’indicazione giusta su Al Baghdadi agli americani. Altrettanto rivendica il governo iracheno con la sua spie. «Forze statunitensi, in coordinamento con il Servizio di intelligence nazionale iracheno»… Applaude l’Arabia saudita, tra i principali produttori di radicalismo religioso e jihadismo.

Frenano Russia e Iran coi loro dubbi

Mosca non è del tutto convinta che il capo dell’Isis sia stato effettivamente ucciso. Il ministero della Difesa russo afferma di «non avere informazioni affidabili sull’operazione da parte dei militari statunitensi sull’ennesima eliminazione di Al Baghdadi». Più volte in passato il leader del Califfato è stato dato per morto in raid aerei della Coalizione a guida Usa. Comunque, da Mosca, «contrastare il terrorismo è un compito molto più difficile della distruzione fisica dei suoi leader». Da Teheran la denuncia del ruolo delle monarchie del Golfo nella creazione e sviluppo dell’ex Isis. «L’uccisione di al Baghdadi non metterà fine a Daesh e alla sua ideologia che è stata creata con l’aiuto dei petrodollari regionali».

Il dopo Al Baghdadi era già in corso

Eredi. Il candidato più segnalato è Abdullah Qardash, in prigione a Bucca (Iraq) con il leader ucciso nel 2004. Secondo l’agenzia di stampa jihadista Amaq, al Baghdadi lo aveva incaricato di gestire gli affari interni dello Stato islamico. Qardash, che si proclama un discendente diretto della famiglia di Maometto e della tribù dei Quraysh, probabilmente condividerà una porzione di potere con altri quadri dell’Isis: Sami al Jaburi, l’ideologo Amir al Mawla e l’esperto di esplosivi Muataz Numan. Annotazione allarmante, nonostante la perdita del territorio in Iraq e in Siria, le cellule IS si sono moltiplicate soprattutto nell’Africa centrale e occidentale, in Pakistan, India, Bangladesh e Khorasan (Afghanistan) oltre che in Medio Oriente.

Soldi, armi, reclute e ideologia

«Per ora, lo Stato islamico continua inoltre a disporre degli elementi più importanti per un’organizzazione terroristica: soldi, armi, reclute e un’ideologia che conferisce legittimità e definisce il perimetro del dentro e del fuori, degli amici e dei nemici, degli affiliati e degli obiettivi ultimi», avvertono Giuliano Battiston ed Emanuele Giordana sul Manifesto. La tenuta complessiva dell’organizzazione resta comunque la domanda chiave. L’Islamic State, possibili conflitti interni sulla leadership, e poi la ‘concorrenza sul mercato jihadista’ con la vecchia ma solida e collaudata al-Qaeda fondata da bin Laden guidata dal longevo Ayman al-Zawahiri.

IS, amici e nemici dentro e fuori

Le varie «Province/Wilayat», le aree in cui l’attivismo frenetico di al-Baghdadi ha portato all’affiliazione di gruppi più o meno forti e strutturati, dall’Egitto allo Yemen, dall’Algeria all’Africa centrale, dal Caucaso alla Nigeria, dall’Arabia saudita all’Afghanistan, culla del jihad contemporaneo e cuore del progetto asiatico di Abu Bakr al-Baghdadi, che all’inizio del 2015 ha riconosciuto la nascita della cosiddetta «provincia del Khorasan». L’atto di fedeltà di queste province era rivolto a lui, al-Baghdadi. «Non è detto che il successore saprà fare altrettanto bene e mantenere tanti gruppi diversi sotto lo stesso cappello».

Giuseppe Santomartino

«Seri studi dimostrano come le eliminazioni delle leaderships delle organizzazioni islamico-radicali incidano poco sulla cifra di minaccia e sulla loro resilienza», scrive l’islamista e generale Giuseppe Santomartino. «In nessun caso l’eliminazione di un leader ha portato alla scomparsa o riduzione di letalità dell’organizzazione, tutt’altro (con bin Laden dopo la sua morte al Qa’ida che stava languendo ha anzi ripreso vigore con Ayman al Zawahiri). Nel caso dell‘IS ex Isis poi al Baghdadi proprio col sistema della decentralizzazione dei vari wilayat (provincie affiliate dal Sahel alla Asia Centrale al Sud Est asiatico) ha creato un networks mondiale di assoluta rilevanza ( di cui forse NON abbiamo ancora capito la portata ) che esprime molto di più della mera minaccia terroristica».

L’Isis dopo al-Baghdadi, eredi ed eredità del Califfo

  1. Abu Bakr al-Baghdadi è morto, ha annunciato Donald Trump, l’ex Isis no. Cruciale sarà vedere cosa proporrà la propaganda jihadista dopo l’annuncio di Trump. Gli ufficiali dell’antiterrorismo Usa si aspettano che il gruppo nomini un successore nei prossimi giorni o nelle prossime settimane, scrive il Time secondo cui un candidato potrebbe essere il ‘ministro della guerra’ di al-Baghdadi, Iyad al-Obaidi. In passato è stato dato per morto e il suo nome era già circolato come possibile rimpiazzo per l’autoproclamato califfo.
  2. Sui media arabi circola invece il nome di Abdullah Qardash (noto anche come Hajji Abdullah al-Afari). E, secondo il settimanale americano Newsweek, già ad agosto al-Baghdadi lo aveva designato come suo ‘erede’. “Le notizie e le pagine di Wikipedia che sostengono che il successore di al-Baghdadi sia Abdullah Qardash si basano su un falso comunicato di Amaq”, ha presto twittato Rita Katz, direttore di Site, l’organizzazione specializzata nel monitoraggio dei social e dei media legati all’Isis.
  3. Oggi comunque l’Isis conterebbe su 14-18mila combattenti che hanno giurato fedeltà ad al-Baghdadi. Senza contare i jihadisti detenuti nel nord della Siria. “I ranghi della leadership dell’Isis si sono dimostrati resistenti nonostante oltre cinque anni di guerra”, si legge sul Time, che sottolinea come il gruppo abbia sempre saputo adattarsi rapidamente alle nuove realtà. E, prosegue l’articolo, “nonostante la perdita del suo califfato territoriale in Iraq e in Siria, l’Isis ha ampliato la sua portata includendo 14 diversi gruppi affiliati in Paesi dell’Asia e dell’Africa”.
  4. Qui l’Isis ha già i suoi ‘emiri regionali’. E per la successione di al-Baghdadi dovrebbe quindi essere nominato un nuovo ‘Califfo’ o qualcun altro, come fece al-Baghdadi, dovrà autoproclamarsi tale. La morte dei leader porta spesso a spaccature all’interno dei gruppi terroristici, ha sottolineato Norman T. Roule, ex ufficiale della Cia esperto di Medio Oriente citato dal Time, secondo il quale “i gruppi dell’Isis all’estero potrebbero andare in diverse direzioni”, anche riavvicinarsi ad al-Qaeda.

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