Lo ‘scalpo’ del Califfo non risolve i guai Usa in Iraq e dintorni

Vendetta bis dopo Bin Laden

The White House @WhiteHouse
President @realDonaldTrump Delivers Remarks

Il leader dell’Isis Abu Nakr al Baghdadi è stato ucciso nel corso di un raid americano in Siria. Lo annuncia il presidente Usa Donald Trump dalla Diplomatic Reception Room della Casa Bianca con il vicepresidente Mike Pence e altri massimi responsabili della sua amministrazione.
«È morto dopo essere fuggito in un vicolo cieco, piangendo e urlando. Al Baghdadi si è fatto saltare in aria e ha ucciso tre dei suoi figli che erano con lui», annuncia Trump. Il raid è durato circa due ore, «È stato come guardare un film», ha aggiunto. Nel blitz sono stati usati 8 elicotteri, «Molte persone sono morte ma tra le nostre truppe non è morto nessuno».

L’Iraq in eredità da Al Baghdadi

Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. E così gli americani, in Irak, non ne azzeccano una che sia una. Altri 40 morti nelle piazze sono la tragica contabilità di una crisi sociale che si è ormai incancrenita nell’ex Paese-canaglia di Saddam Hussein. Quando Washington e Bush figlio decisero di passare all’azione per esportare la “democrazia”, evidentemente si scordarono di trasferire a Baghdad anche un minimo di vivibilità. E così ora, che non si riesce ad assicurare manco un tozzo di pane, indovinate con chi se la pigliano gli irakeni? Con il loro governo, certo, ma anche con chi ha mosso pupi e burattini per imporre una politica estera “a modo suo”.

Le inutili ‘Guerre del golfo’

Fa rabbia pensare a quante vite umane sono state bruciate dalla seconda guerra del Golfo in poi, per arrivare fino a questo punto: cioè in un vicolo cieco senza che qualcuno abbia uno straccio di idea per fermare la mattanza a orologeria che dilaga in tutto la regione. Ufficialmente è la fame a spingere gli irakeni nelle strade per dare vita a una sorta di guerriglia urbana senza se e senza ma. Ma sotto la cenere del conflitto covano i tizzoni ardenti di una macro-area di crisi che sembra stupidamente costruita a tavolino. Certo, a leggere in trasparenza la vicenda irakena si legge l’incapacità della Casa Bianca di proporre modelli di “ingegneria istituzionale” in Medio Oriente che siano affidabili nel lungo periodo. Si campa alla giornata, insomma, e si mettono pezze.

Mille Saddam dopo

Secondo una minuziosa analisi effettuata dai corrispondenti della britannica BBC, i rivoltosi chiedono migliori servizi pubblici, posti di lavoro e la fine della piaga della corruzione, che contrassegna qualsiasi ufficio della burocrazia irakena. Insomma, hai detto niente. L’Irak per gli Stati Uniti e per l’Europa si è rivelato un pozzo senza fondo, dove sono stati bruciati miliardi di dollari e di euro senza riuscire a offrire alle popolazioni condizioni di vivibilità minime. Gli occidentali hanno trascurato la complessità etnica e sociale del Paese, eredità del colonialismo britannico predone, cinico e privo di scrupoli. A nord-est i curdi, al centro i sunniti e a sud gli sciiti formano uno Stato disomogeneo, difficilissimo da gestire e dove la convivenza delle popolazioni viaggia sempre sul filo del rasoio.

Decolonizzazione peggio del prima

Oltre ai quasi 200 morti provocati dai tumulti, vanno anche ricordati 2000 feriti lasciati sanguinanti nelle strade dopo la violenta reazione della polizia e dei servizi di sicurezza governativi. Un’inchiesta promossa dalle autorità centrali ha rivelato che l’uso della forza contro i manifestanti è stato sproporzionato. Dal canto suo, il primo ministro ha Adel Abdul Mahdi, ha ribadito che le proteste non saranno tollerate. Contemporaneamente, ha promesso un programma di riforme e un pacchetto di interventi per soddisfare le prime richieste. Bisognerà vedere se la popolazione gli crederà. La verità è che il malcontento attraversa tutti i gruppi etnici, perché la fame finisce per mettere tutti d’accordo.

Sciiti e sunniti contro malgoverno

Nessuno crede alla propaganda del governo a maggioranza sciita e il fatto che siano proprio gli sciiti i più accesi rivoltosi rende conto e ragione di quanto ingarbugliata e scarsamente decifrabile sia la situazione. A Diwaniyah 12 persone sono state uccise mentre davano fuoco al quartier generale delle forze paramilitari. Comunque, sotto sotto i veri motivi della protesta non riguardano soltanto la qualità della vita e il costo dei generi alimentari. In una sorta di corsa ai “manifesti politici”, i rivoltosi hanno chiesto che la gestione del Paese secondo modelli etnici e religiosi sia superata.

Contro la tripartizione dell’Irak

Se l’Iraq è una nazione unita, dicono, le strategie politiche ed economiche devono essere omogenee ed univoche. In pratica, si tratta del conclamato fallimento delle teorie americane basate sulla tripartizione come elemento-guida per la gestione dell’Irak nel dopo Saddam Hussein. Altri tragici scontri con diverse vittime si sono svolti a Maysan, Dhykr e Muthannna. Le autorità temono che la situazione nei prossimi giorni possa loro scappare di mano. Poi, a far finta di averci messo una pezza, l’annuncia della morte di un capo terrorista già fuori partita da tempo. Altri gli avversari al comando, forse più pericolosi del Califfo, e inutili esibizioni elettorali.

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