
Non solo il nucleare con l’Iran, o il trattato di sui missili balistici con la Russia, e gli accordi commerciali con mezzo mondo: Donald Trump sta preparando il ritiro degli Usa dal Trattato di Parigi sul clima. Lo rivela il ‘New York Times’, secondo cui sarebbero state avviate le procedure che richiederanno un anno per il completamento. Il 23 ottobre, nel corso di un evento a Pittsburgh, lo stesso presidente americano aveva riconfermato per l’ennesima volta l’intenzione di ritirarsi «da un accordo terribile, che è un disastro totale per il nostro Paese».
Un portavoce del dipartimento di Stato contattato dal giornale -precisa l’Huffington Post- non ha voluto dire se è stata inviata una prima notifica dell’avvio del processo alle Nazioni Unite, ma in una nota ha ribadito che «la posizione degli Stati Uniti sull’accordo di Parigi non è cambiata: gli Stati Uniti vogliono ritirarsi». In base alle regole del Trattato, il 4 novembre è la prima data utile entro la quale l’amministrazione Trump può inviare una notifica scritta all’Onu per comunicare l’avvio del processo di ritiro.
Quasi in coincidenza. Milioni di vite a rischio. I paesi ricchi snobbano l’emergenza dei paesi poveri. E il piatto del Fondo globale piange. L’allarme lanciato da Oxfam: gli Stati uniti si defilano. E «dall’Italia nessun impegno». La lotta al cambiamento climatico è ferma al palo. A quasi quattro anni dalla firma dell’Accordo di Parigi, i Paesi del Nord del mondo non hanno ancora finanziato completamente il Fondo globale per il clima, che dovrebbe sostenere progetti per l’adattamento alla crisi climatica nel Sud del mondo, «e salvare milioni di vite» secondo Oxfam, che il 24 ottobre ha presentato un rapporto. E ora gli Stati Uniti si preparano al ‘Vaffa’ ufficiale.
«Dall’Italia ancora nessun impegno» denuncia in occasione dell’apertura del summit di Parigi sul Fondo globale per il clima. In totale, il Fondo – lanciato nel 2010 – è fermo a 7,5 miliardi di euro, mentre a livello globale e solo nel 2018 «gli investimenti in energia da fonti fossili come petrolio, gas e carbone hanno superato i 933 miliardi di dollari», 100 volte la quota che i Paesi più ricchi dovrebbero destinare per supportare i processi di gestione del rischio e adattamento ai cambiamenti climatici. Dopo di che gli appelli riportati da Luca Martinelli sul Manifesto che vanno a scontrarsi con cinismo egemone di un Trump, incidente mondiale.
Il Fondo Globale per il Clima (Global Climate Fund) è il principale canale attraverso il quale i Paesi ricchi possono sostenere quelli poveri. 110 progetti in 4 anni nei Paesi in via di sviluppo, come l’espansione dell’energia solare in Nigeria e Mali, il ripristino delle foreste in Honduras e la creazione di sistemi agricoli in Bhutan e Belize. Poi, contro, in un colpo solo, l’Amazzonia brasiliana di Bolsonaro che va a fuoco. Sulla linea dei duri e del ‘chi se ne frega’, l’Australia ha dichiarato che si unirà agli Stati Uniti e si rifiuterà di fornire nuovi fondi in occasione del summit di Parigi (e non era ancora nota l’intenzione di rottura da parte di Trump).
In base alle regole del trattato di Parigi, il 4 novembre la prima data utile per il ritiro, «in tempo per giocare il tema durante la campagna elettorale delle presidenziali del 2020», la valutazione sulla scelte di Trump. Interessi privati in potenziali catastrofi pubbliche, eventi climatici estremi come uragani, siccità prolungate e alluvioni che letteralmente mette a repentaglio la sopravvivenza di intere comunità. Migrazioni e fuga di popoli, senza muri che tengano. Per gli aiuti oggi, circa 3 dollari l’anno per mettere in sicurezza sé stessi e le proprie famiglie dalla perdita di raccolti, allevamenti e tutte quelle risorse essenziali da cui ne dipende la sopravvivenza.