Lavoro forzato o carcere. Otto milioni di ore di lavoro non retribuito in un anno, l’equivalente di 4.900 posti di lavoro salariato. Agenzie governative che possono contare su circa 3 milioni di ore di servizi gratuiti di vario genere sostituendo 1.800 posti di lavoro. Sono le cifre da capogiro che riguardano Los Angeles dove i tribunali, in maniera sempre più ampia, ricorrono al lavoro coatto al posto della carcerazione.
L’università californiana Ucla ha pubblicato mercoledì scorso i risultati di un’indagine che ha messo in luce aspetti inquietanti. Attualmente sono almeno 100mila le persone condannate a svolgere i cosiddetti “servizi alla comunità”, e a questo vero e proprio sistema sono interessati molti dipartimenti governativi e organizzazioni no profit.
Lo studio, ripreso anche dal Guardian, parla espressamente di sfruttamento e “furto di salario” al quale sono sottoposti principalmente persone con problemi di debiti (multe automobilistiche, tasse e contenziosi economici con lo Stato) e in larga parte (89%) appartenenti alla comunità nera, tanto da far parlare di “profilazione razziale”.
Succede poi che in molti non riescono a completare il lavoro entro le scadenze imposte dai tribunali e un condannato su cinque alla fine incorre nel reato di violazione della libertà vigilata facendo finire l’insolvente comunque in cella. E quella che doveva essere un’alternativa alla prigione diventa praticamente una condanna a vita in cui il debito non si estingue mai. Inoltre, rileva la ricerca dell’Ucla, aumentano le diseguaglianze e si “crea una forza lavoro non regolamentata in cui i lavoratori sono vulnerabili agli abusi”.
Per il professore di Diritto Noah Zatz che ha coordinato l’inchiesta: «Normalmente, è incostituzionale minacciare le persone con la prigione se non lavorano … Questo è un sistema di estrazione gestito dal governo che si rivolge a comunità di colore e comunità a basso reddito». Così nonostante esista negli Usa una corposa statistica sui sistemi di punizione ingiusti, i “servizi alla comunità” non rientrano fra questi anche perchè mancano controlli adeguati.
I condannati a questo tipo di lavoro sono considerati infatti volontari ma spesso sono assegnati a posizioni accanto a lavoratori retribuiti, per lo più si tratta si tratta di occupazioni manuali come rimozione di graffiti, raccolta dei rifiuti e lavoro di pulizia in genere. Non è raro trovare queste persone in luoghi come CalTrans, l’agenzia di transito statale, i parchi di quartiere e i dipartimenti municipali, oppure l’Esercito della Salvezza e i centri servizi della comunità locale.
Secondo i dati raccolti dai ricercatori, di fronte a molestie o abusi sessuali e altre forme di maltrattamenti i lavoratori possono fare ben poco: l’alternativa tra andare in prigione o lavorare è talmente stringente da frenare le possibili denunce. Per la responsabile della ricerca legale e politica al Centro di lavoro Ucla, Tia Koonse, tutto ciò: «Ha un effetto agghiacciante se si vuol chiedere alloggio, chiedere un pasto o una pausa bagno, reclamare i propri diritti». Per adesso i portavoce dei tribunali della contea di Los Angeles hanno rifiutato di commentare quello che sta succedendo.