
Gli estremisti hanno vinto. Parola del mio amico barbiere rurale alchimista. Ma non quelli che volevano cambiare il mondo, quelli che avevano come stella polare la giustizia sociale in tempi di oscurità e di un sistema economico che premia la ferocia e manda a morte gli ultimi.
Prendo in prestito un’immagine di Franco Arminio e aggiungo: hanno vinto gli estremisti della moderazione.
Già, sospira e taglia. Estremisti della moderazione. Bella immagine che rafforza concetti che spesso tra le righe dei Polemos sono apparsi: a dominare la scena è la mediocrità in ogni sua declinazione. Dominano i conformisti del buon senso per sentito dire, i modaioli di ogni tendenza, i trasgressivi della resa incondizionata finti come le loro trasgressioni artistiche, gli esperti di nessuna sapienza, i paraculi e gli indifferenti.
Tutti insieme sulla stessa barca, sfruttati e sfruttatori, padroni e schiavi, intraprendenti e passivi. E non importa se in banca o a teatro, o nel giornalismo. Il potere della moderazione, del compromesso al ribasso, del distogliere lo sguardo, del tacere quando conviene tacere e parlare a comando è forte e mette insieme gli opposti annullando le contraddizioni necessarie.
C’è ottimismo in questa visione. Sfumatura alta a colpi di forbici, il barbiere si ferma nell’ascolto. Il pessimismo è accettazione, è non vedere, non impegnare una stilla di energia per capire. Per questo scrivo. Per questo sono un attivista e non mi arrendo neanche di fronte all’evidenza. Non per eroismo, per necessità. Per la vita, per l’amore, per chi amiamo, per il futuro, per non accettare la cattedrale di bruttezza e oscenità che divora ogni spazio del nostro abitare.
Per questo dobbiamo tornare a calpestare la nuda terra. A camminare, a riconquistare la posizione eretta, l’uso delle mani, l’uso dello sguardo verso la profondità, la schiena dritta, il sorriso, ad accendere la domanda, a spegnere la tv, a dimenticare il telefonino. A guardare la realtà attraverso il filtro dei nostri occhi, della nostra delicatezza, sensibilità, sapienza. Attraverso la memoria, il gusto, il piacere, il silenzio. Non più attraverso lo schermo che ammalia, che cancella il mondo in cui viviamo e ci proietta inesorabilmente in un mondo altro che non ci appartiene, che ci condiziona. Fatto di certezze assolute, di regole di marketing e di esperti che non sanno niente.
Il barbiere un tempo maoista nonché alchimista porta degli esempi. Confronta le scale degli antichi, perfette eleganti e che hanno attraversato il tempo a quelle dei moderni fatte con materiali moderni e che fanno schifo esteticamente e durano niente, sfaldate da quattro passaggi. E per antichi – dice con il rasoio affilato sospeso in aria – dico anche i nostri genitori, i nonni, quelli che hanno usato le armi per la libertà e hanno rimesso insieme i cocci. Qualcuno aveva studiato, qualcuno no, ma alto era il rispetto e la sapienza circolava. Oggi i tecnici ci regalato progetti mirabolanti senza futuro, è come se il loro tanto studio poggiasse su fondamenta di sapienza fragili. Senza esperienza, manualità, senza vita.
L’invettiva del barbiere coglie nel segno. Gli altri avventori annuiscono. Parla di una stagione cupa e disfatta. Di un’ignoranza che cresce. E che colpisce principalmente chi non ha potere, chi non sa più come battersi, come contestare, come ottenere diritti. E crea risentimenti senza via d’uscita, convincimenti ottusi, piallati dalla pioggia d’informazioni che diluvia sulle misere conoscenze di chi le riceve.
Quindi? Dopo avermi ascoltato conclude così: quindi. Non conclude, è una domanda retorica per partire all’assalto finale: quindi occorre tornare ad accendere i cuori, ad attivare il pensiero, a considerare la realtà più del virtuale. Tutto quello che gli estremisti della moderazione, i flautati esponenti di ogni potere ci hanno sottratto con delicatezza e un pizzico di ironia negli ultimi decenni. Dobbiamo amare la nostra terra, riprendere a considerare il paese dove viviamo il punto di forza della civiltà, perché così è. Ce la possiamo fare. Basta smetterla col dire, col like, con la denuncia sui social, con la farneticazione virtuale e metropolitana, per passare alla categoria del fare.
Quante volte l’ho scritto. Fare del pensiero un’azione. Frase meravigliosa che contiene sia l’idea che possa accendersi un pensiero non clonato e che diventi azione. Piccola, semplice, delicata, ma fuori dalla melma del tempo. Con l’idea che la rivoluzione parta dal nostro cuore e che dobbiamo diventare tutti attivisti per avere la meglio.
Il barbiere mi interrompe e tremo, con quel rasoio affilato: sui fetentoni dobbiamo avere la meglio, sui fetentoni che dopo averci portati alla rovina oggi continuano a spiegarci come risolvere la questione.