
«Un terremoto politico, o quasi», la sintesi di Alessandra Briganti, tra i giornalisti che ancora seguono con attenzione i Balcani mai da dimenticare. ‘Svolta storica del voto di domenica scorsa in Kosovo’, quando il candidato premier del Partito democratico del Kosovo (Pdk), dichiara «Abbiamo perso, andremo all’opposizione». «Per la prima volta dalla dichiarazione unilaterale d’indipendenza nel 2008, il partito del Presidente della Repubblica Hashim Thaqi è fuori dalla maggioranza di governo. Esclusi anche gli altri «signori della guerra» che hanno dominato il Kosovo indipendente per undici anni», annota l’attenta cronista sul Manifesto.
Chi ha perso, chi ha vinto, meno facile capire chi governerà. Primo per pochi voti, 25,5%, il partito nazionalista di centro-sinistra ‘Vetevendosje!’ di Albin Kurti, che non è personaggio facile. Al secondo posto con il 24.9%, la Lega democratica del Kosovo (Ldk), il partito di centro-destra fondato dal primo Presidente kosovaro, Ibrahim Rugova, che ha candidato per la prima volta una donna Vjosa Osmani alla presidenza del Consiglio. I due partiti guidati dagli unici leader che non hanno iniziato la loro carriera nelle file dell’Uck, raccolgono insieme la maggioranza assoluta dei voti e quindi dei parlamentari.
«La coalizione della guerra, invece, sconta la decisione di presentarsi divisa al voto. In realtà era evidente da tempo che gli equilibri fossero saltati». Lo scontro interno tra le diverse fazioni della guerriglia Uck, formazioni spesso clanistiche con ‘interessi vari’ e non sempre esclusivamente patriottici, ancora il conflitto con la Serbia. Il tentativo di definire nuovi confini su base etnica ma senza guerra. «La proposta di accordo di scambio di territori tra Serbia e Kosovo, caldeggiata da Thaqi, di concerto con Bruxelles e Washington, e fortemente osteggiata dal premier uscente Ramush Haradinaj, sostenuto in questo da Berlino e Londra».
Il premier dimissionario Haradinaj che ha usato la convocazione del Tribunale dell’Aja per i crimini commessi dall’Uck per dimettersi ed evitare così il voto di sfiducia cui stavano lavorando le opposizioni. Facile per lui far saltare ogni ipotesi di accordo con Belgrado (che vive analoghe tensioni nazionalistiche), scatenando una guerra commerciale (dazi aumentati del 100% sui prodotti e merci serbe). «Haradinaj ne è uscito isolato sia all’interno che all’esterno», considera Alessandra Briganti, «e i risultati di questa frattura sono emersi nel voto di ieri». Misero 11% in precaria alleanza mentre altri potenti, il ministro degli Esteri uscente Behgjet Pacolli, non superano la soglia di sbarramento.
La Lista serba stravince nelle sue zone col 90% dei voti, un picco del 98% a Mitrovica Nord. Al ‘partito di Belgrado’ i dieci seggi riservati alla minoranza serba, sempre più ostaggio di operazioni politiche nella Patria lontana. Quesito politico per tutte le parti politico etniche: come uscire dal clima di contrapposizione di odi e ferite ereditate dalla guerre per sperare si uscire da miseria e corruzione e far diventare il Kosovo un realtà socio politica reale non, com’è ora, una invenzione internazionale legata ad interessi di parte ben noti. Possibile un governo della due ex opposizioni ora vincenti? Ipotesi affascinante di Vjosa Osmani, premier donna, come è a Belgrado.
Kurti vincente ha annunciato l’intenzione di un accordo di governo con l’Ldk. Ma c’è l’agenda nazionalista del leader di Vv. Kurti sembra aver accantonato la proposta di un referendum per l’unificazione del Kosovo con l’Albania che non ha trovato alcuna sponda a Tirana. «Priorità a riforme su economia e occupazione che facciano uscire il Kosovo da quel buco nero di corruzione e malaffare in cui è sprofondato da vent’anni», sintetizza la collega. Salvo che Thaqi, l’unico della vecchia guardia a essere sopravvissuto allo tsunami, non si inventi qualche trucco per far ‘saltare il banco’. Ad esempio insistendo con l’accordo di scambio con la Serbia su cui i due partiti vincenti sono contrari.