La storia dei dazi è molta antica e risale almeno al Medioevo. Ogni merce che transitava su un determinato territorio era soggetta ad una tassa e il signore del luogo – spesso anche un libero comune o un’abbazia – ne ricavava un piccolo introito. Poiché nel Medioevo coloro che potevano esigere questo tributo erano assai numerosi (signori feudali, liberi comuni o autorità ecclesiastiche), ne risultava che più lungo fosse il tragitto delle merci, tanto maggiore ne sarebbe stato il prezzo. I commerci (ma anche il contrabbando) però si diffusero lo stesso e, contemporaneamente, sorsero stati più o meno moderni e di dimensioni più vaste. Ciò significò la fine dei dazi interni, ma altri dazi nei confronti dei beni ‘stranieri’, non prodotti cioè nel proprio territorio, furono imposti ugualmente per impedire l’accesso al mercato ad altri e favorire i propri produttori. Anche questa forma di limitazione dei commerci – chiamata ‘protezionismo’ – però gradatamente scomparve.
Dopo l’Unità d’Italia il principale partner economico era la Francia che acquistava moltissimi prodotti italiani. Sui commerci però giocò un’influenza negativa la politica internazionale. Dopo l’umiliazione subita a causa dell’occupazione francese di Tunisi, l’Italia si alleò per ripicca con l’Austria-Ungheria e la Germania. Nel 1887, dopo lunghe trattative commerciali con la Francia, l’Italia rimase malauguratamente convinta che la Francia avrebbe continuato ad acquistare prodotti italiani nonostante i dazi, ma ciò non avvenne. La Francia era comunque un impero coloniale, in grado cioè di sostituire i prodotti italiani con altri, ivi compreso il grano che fu acquistato dagli Stati Uniti a migliori condizioni. In Italia invece si aprì una lunga crisi economica soprattutto nelle campagne le cui conseguenze furono una vasta ondata migratoria verso le Americhe che sarebbe durata più di un decennio. Non scoppiò una guerra, ma in ogni caso si ebbero vari momenti di tensione nei rapporti e nei piani militari si studiarono per vent’anni progetti di guerra alla Francia diventata una possibile nemica.
Un periodo in cui difficoltà economiche, crisi finanziarie, embarghi e dazi si intrecciarono in un vero nodo gordiano furono i due decenni dal 1919 al 1939. Soprattutto i dazi a scopo protezionistico o altre limitazioni ai commerci non risolsero i problemi dei diversi paesi, ma finirono per aggravarli. Gli Stati Uniti ad esempio, dopo la crisi del 1929, di fatto limitarono le importazioni di prodotti stranieri pensando di favorire la propria industria. Non solo successe il contrario, ma la crisi si estese agli altri paesi privati dello sbocco commerciale negli Usa. Benché oggi possa sembrare surreale l’inasprimento delle relazioni anche economiche tra Stati Uniti e Gran Bretagna portò all’elaborazione di articolati piani militari per l’invasione del Canada, ipotizzando anche la costruzione di aeroporti nei pressi del confine da cui far decollare bombardieri verso Halifax o Vancouver. Quando i canadesi si indignarono dopo la divulgazione dei piani segreti americani decine di anni dopo, tacquero però sul fatto che anche loro ne avevano preparati per invadere Seattle e Minneapolis. I congegni bellici insomma erano pronti da ambo le parti, ma rimasero nei cassetti.
Dopo la Seconda Guerra mondiale, vinta anche sul piano economico globale dagli alleati, cominciò la Guerra Fredda. L’attenzione alle materie prime del nemico e alle sue politiche commerciali si era già sviluppata durante la guerra e per impedire un’ulteriore crescita dell’Unione Sovietica e poi dei paesi del Patto di Varsavia si fece ricorso a misure simili a quelle attuate durante la guerra. In modo più elegante non fu sbarrata la strada ai prodotti dell’Est con semplici gabelle, ma si creò una rete di accordi tra paesi occidentali che di fatto ne impediva la circolazione. In conclusione dazi doganali eccessivi o forti limitazioni imposte ai normali commerci – come ha spiegato l’economista americano Copeland – oltre a produrre spesso conseguenze inattese, innescano un clima di tensione che potrebbe provocare reazioni di altro tipo. Ancora più grave diventerebbe non tanto il mancato guadagno commerciale per il venire meno delle esportazioni, ma il fatto che tali difficoltà sarebbe percepita da chi la subisce come complessivo ‘declino’, imponendo appunto azioni o reazioni non sempre prevedibili.