
Accidenti come corre il tempo. Cose che a te sembrano accadute ieri e che rischierebbero di finire su un libro di storia, se solo fossero state abbastanza importanti da meritarselo. Credo dipenda dalla elasticità del concetto stesso di tempo, quando la filosofia prevale sulla fisica. Più sei giovane e più il tempo risulta infinito. Poi, via via, lo spazio tra i diversi fatti della vita si accorcia, come le giornate d’inverno. In realtà il tempo della vita non lo misurano né gli orologi né i calendari. Calcolo personale, intimo direi. La successione dei fatti che ti appartengono, accelerati o rallentati sulla base di come li esalti o li nascondi nella memoria della tua vita. Sembrava ieri ed è accaduto quasi una vita fa, capita a volte di scoprire. Preistoria per un’epoca che sembra vivere soltanto al presente. In assenza di futuro certo uno è portato a cancellare tutti verbi che si declinano prima del presente. Ma il peggio è che, quale sia l’oggi che ti viene proposto o raccontato, non ha più un precedente o una sua origine. Un suo passato. La vita e il mondo ridotti all’indicativo presente, come un telegiornale.
Dato che di giornali e televisione ho campato per 40 anni, a farli, a leggerli, a vederli e spesso a bestemmiarli, anche di questo voglio parlare. Dell’eterno presente cui siamo condannati perché ci è stata rubata la memoria. Non certo per raccontarci come si stava meglio quando si stava peggio. Soltanto per scoprire assieme che tutto ciò che ci piomba addosso oggi nasce da un ieri ben preciso. Prevedibile già allora, fossimo stati capaci di capire. Ovviamente il mio punto di vista nasce da un osservatorio privilegiato. Spesso testimone diretto di fatti e circostanze di grande portata. Eventi, li chiamano, confondendoli sovente con le semplici notizie soltanto per gonfiarle. Di notizie campa qualsiasi giornalista. Io, come direbbe Totò, giornalista ‘non lo nacqui’ ma lo diventai quasi per caso. In mezzo agli eventi, vale a dire nei guai, mi ci sono cacciato per istinto. Non so come e perché mi sia capitato ma ho vissuto cose abbastanza insolite una parte delle quali vale la pena raccontare. L’altro ieri per capire l’oggi, sarebbe la pretesa, a consolare col patrimonio della memoria lo scorrere degli anni. Senza pretese d’insegnare nulla a nessuno, soltanto per parlare.
Del giornalismo stesso, ad esempio. Dal passato remoto del come fu, all’imperfetto del come era. A scoprire che il tempo presente è decisamente meno perfetto. Come le grandi battaglie politiche d’allora. Ideologiche, si esecra oggi, come se le illusioni di alcuni modelli sociali cui aspirare fossero infantilismo rispetto all’attuale cinismo del semplice appartenere. Dai partiti, alle correnti, ai club, alle cordate, ai furbi ed ai furbetti di palazzi e quartierini. Sovranismi e populismi si chiamano adesso, ma è politica riscaldata come la pasta dei giorno prima. Tempo fa, rosso e nero erano soprattutto colori di classe, scelte di appartenenza, non possibili puntate alla roulette. Le Brigate erano rosse e le bombe terroristiche erano nere. Assassini in entrambi a casi, ma con differenze chiave su obiettivi e mandanti. Le stesse trame occulte erano, a loro modo, trasparenti. Servizi segreti deviati quando fuori rotta erano i governi che li comandavano. Anche certa massoneria era deviata allo stesso modo. Specchio del potere dominante al tempo. Vuoi mettere la loggia P2 del gran maestro Licio Gelli con la presunta P3 di Flavio Carboni? Gelli il suo piano di “Rinascita democratica”, purtroppo, l’ha visto realizzare. I nipotini in grembiulino e cappuccetto alle cronache di oggi, andavano a vendere favori per incassare appalti. Dalla banca Rasini, potrebbe essere la battuta per chi ha memoria, alla banca Verdini. Li unisce soltanto la rima.
Anche per la grande criminalità organizzata l’impressione è quella di un deciso degrado. Non certo a rimpiangere l’impunità dei boss negli anni delle stragi di mafia. Allora i Falcone e i Borsellino non avevano a disposizione la complessa modernità delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Indagini classiche, sino a morirne non solo per mafia. Domani forse, quelle intercettazioni non ci saranno più o saranno imbrigliate da leggi a difesa della privacy. Privatamente, i nuovi boss festeggeranno. M’è capitato di vedere il cadavere di Salvo Lima crivellato di colpi su una strada di Mondello. Conoscevo l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Allora i rapporti tra mafia e politica, a volerli leggere, erano sostanzialmente chiari. Oggi le cronache giudiziarie del processo a Marcello Dell’Utri raccontano dell’ex stalliere della villa Berlusconi ad Arcore, Vittorio Mangano, definito dal senatore un “eroe”. Ero rimasto alle sentenze giudiziarie che lo qualificavano come pluriomicida legato a Cosa nostra. Fosse ancora vivo il mio amico Masino Buscetta, avremmo avuto di che parlare passeggiando in piazza Montecitorio, come accadde, a ricordare le sue visite agli ‘amici degli amici’ dentro il Palazzo. O avrei potuto chiedere a don Tano Badalamenti, in una delle decine di nostri incontri nel carcere di Memphis, Tennessee. Con lui le risposte avrei dovuto interpretarle dagli sguardi.
Le tragedie stesse del mondo, come le guerre, sembrano essersi svilite. Idealpolitik fragile per una realpolitik sempre più disumana e pasticciona. Il Vietnam americano e l’Afghanistan sovietico, in grado di seppellire nella vergogna l’arroganza delle due superpotenze. Poi siamo passati da Ho Chi Minh a Milosevic, dall’eroe mujaheddin Shan Massud al signore della guerra Hamid Karzai. Dall’appartenenza coloniale ai blocchi, imposta a qualsiasi costo, alle furberie misere della “guerra umanitaria” o della caccia al fantasma di Bin Laden. Delle fasi recenti di quelle guerre sono stato testimone sul campo, con episodi nascosti che portano la tragedia ai confini della commedia. Avrei qualche cosa da raccontare sull’Iraq che fu di Saddam Hussein. L’ultimo Iraq unitario prima dell’attuale dello Stato bricolage, dove tre pezzi di popoli e territori sono tenuti assieme col bitume del petrolio. Vorrei tornare anche nel Medio oriente dei premi nobel per la pace Yasser Arafat, Shimon Peres e Yitzhak Rabin. Prima delle guerre a perdere di Ehud Olmert in Libano e di Benjamin Netanyahu a Gaza. Tornare, infine, per innamoramento personale, nella Sarajevo martire e ritrovare la città multietnica che resistette durante la guerra.
Sogni avvelenati da molta rabbia e un bel po’ di cattiveria, come scoprirete più avanti. Semplicemente vorrei poter tornare nel Mondo Altro delle mie troppe avventure, a raccontare un’Italia esaltata non soltanto dalle sue bellezze e dal grande passato. Poter essere testimone di una Italia dignitosa e apprezzata nel suo presente. Quindici anni di vita all’estero mi hanno sino ad oggi impedito di scorgerla, quell’Italia. Dovevo essere distratto io. Per questi mi ostino a raccontare dell’altro ieri, lasciando ad altro giornalismo di raccontare l’oggi. Col dubbio che buona parte del mio passato prossimo di cui do testimonianza personale, episodi o semplici curiosità, non sia poi così lontano da quel presente seminascosto che non trova spazio in molto telegiornali. Questione di spazio, certamente. Nel frattempo il vecchio giornalista si improvvisa scrittore, col rischio di fare danno, in un colpo solo, a due nobili mestieri.
PS. Tranquilli tutti. Prologo ad un libro che mai sarà completato.