Il 29 settembre in cui celebrammo la lotta e l’amicizia

Giorni speciali

Ci sono giorni speciali, che segnano la storia individuale di ognuno di noi e, secondo come il caso volge lo sguardo, o le scelte del bivio che ognuno di noi attraversa, s’intrecciano con la storia collettiva che stiamo percorrendo, la bellezza corale, l’insieme degli affetti, l’amicizia, il senso della lotta, la grandezza del battersi insieme con gli altri per i diritti degli altri, dei nostri, per quelle forme di legalità che assumono senso solo se connesse a un’idea di giustizia sociale. Altrimenti si tratta di strumenti di oppressione e di reiterazione di ingiustizie umane, sebbene imbellettate da regolamenti e leggi.

Oggi, 29 settembre, è uno di questi casi. La memoria viaggia fulminea, riconnette esperienze e situazioni, ristabilisce un ordine delle cose buone e sincere, riprende fiato e affonda le radici nel terreno comune della nostra storia, Per non dimenticare. E per non dimenticare occorre partire dalle cose semplici, dai ricordi dolci, dalle persone che nell’incontro ci hanno cambiato la vita, che ci hanno insegnato qualcosa, che si sono battuti con noi. E il noi rappresenta un’idea di bene comune contro l’interesse privato, porta in alto il vessillo dell’utopia concreta quando tutto intorno la resa è inesorabile, inconfessabile e soavemente accettata come dato di fatto di buon senso.


Perché il 29 settembre? Parto da un elemento privato, privatissimo. Qualche anno fa io e mia moglie ci siamo sposati a Milano il 29 settembre. E abbiamo dedicato quella giornata, oltre che alla celebrazione privata di un amore, all’amicizia, alla solidarietà, alla lotta, festeggiando tutto questo nel cuore di Rimaflow, la fabbrica recuperata.

Una festa bellissima. Con le signore della cucina a preparare il pranzo per tutti, e tutti a testimoniare l’importanza del lavoro per la dignità di ognuno. E la necessità di battersi, di non accettare acriticamente le efferatezze del sistema economico che, per una delocalizzazione selvaggia, mette in strada centinaia di lavoratori. Mette a repentaglio la vita delle loro famiglie, come se fossero danni collaterali del profitto spietato.

Questi ragazzi, queste donne e uomini, non si sono arresi. Sono rimasti nella fabbrica. Si sono battuti per rimetterla in funzione, accettando il rischio giudiziario. Con l’aiuto di tanti, della comunità in primis, con un rapporto creativo e fertile con l’Utopia concreta di Isola art center (di cui facevamo parte), del grande Bert Theis.

Bert Theis oggi non c’è più. Ci restano le sue idee, la dolcezza del suo parlare, l’inventiva della sua arte sempre di lotta. Nella memoria di quel giorno, di quei giorni di utopia, della storia che ci appartiene e che scriviamo, è sorridente e centrale. Mi rendo conto che tanti combattenti per la libertà e per i diritti di tutti, presenti in quella fabbrica, oggi non ci sono più. Penso alla sognatrice Eloisa, che cantò Bella Ciao, a Barbara delicata febbrile donna dalla parte degli ultimi sempre e comunque. Amiche del cuore, testimoni di un’amicizia corale.

Il tempo cancella le cose che non servono e lascia traccia delle cose importanti.

Noi che non amiamo celebrare le strette di mano dei potenti, o i leader che salgono e scendono sull’ottovolante del potere (come le maree sotto la luna), siamo qui a raccontare le donne e gli uomini veri che fanno del pensiero un’azione e non si limitano a ciarlare di tutto dietro lo schermo di un telefonino.

Ognuno di noi può cambiare il mondo. Nella pratica. Anche nelle piccole piccolissime scelte che facciamo ogni giorno.

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