Diplomazia degli ostaggi iraniana e le strane armi vendute agli inglesi

La diplomazia degli ostaggi

Nazanin Zaghari-Ratcliffe è una donna anglo-iraniana detenuta dall’aprile 2016 nelle carceri iraniane. E’ stata arrestata con l’accusa di spionaggio, un reato che ha sempre negato. Ora il primo ministro inglese in uscita ha annunciato che chiederà la sua liberazione imputando all’Iran di portare avanti una «politica degli ostaggi».

La vicenda si inserisce in un momento di tensioni tra i due Paesi. Due ragioni principali: il fermo di una petroliera britannica nel luglio scorso nello stretto di Hormuz e l’attacco diplomatico del Regno Unito accanto agli Usa per i missili che hanno distrutto due impianti petroliferi in Arabia Saudita. Il caso Zaghari Ratcliff aggiunge benzina sul fuoco, anche perché la vicenda è molto più complessa di una esibizione muscolare.

Innanzitutto è stato il ministro degli Esteri iraniano, Javaz Zarif, a rendere nota la possibile trattativa a margine dell’Assemblea generale dell’Onu a New York, scenario di massimo ‘ascolto’. Boris Johnson, prima di essere quasi licenziato dalla sua Corte Suprema, ha ‘spacconeggiato’ dicendo che avrebbe discusso della liberazione della donna ma solo con il presidente, Hassan Rouhani. Sempre che lui resto premier ancora per molto.

Una vendita di armi

Il ministro Zarif ha comunque chiarito i termini di un eventuale accordo. In realtà si tratterebbe di uno scambio. «La Gran Bretagna ci deve 400 milioni di sterline da 40 anni – ha denunciato ai giornalisti Zarif -. Nazanin è in prigione in base a una decisione del tribunale. Il Regno Unito dovrebbe darci soldi sulla base di una decisione del tribunale. Ora vogliono che noi annulliamo la nostra decisione giudiziaria?».

Due decisioni giudiziarie. Il Regno Unito dunque non vuole pagare? E perché non dovrebbe farlo? Anche in questo caso il capo della diplomazia iraniana non ha usato mezze parole. I 400 milioni dovuti dal Regno Unito all’Iran sarebbero il conto di una vendita di armamenti (gli inglesi asseriscono che sia vecchia di decenni), in particolare di carri armati (destinati a chi?). Fosse pure dai tempi dello Scià, debiti imbarazzanti che tornano al pettine della sanzioni Usa.

Anche la questione del pagamento non è cosa nuova. E’ stato proposto dagli iraniani fin dall’inizio, quando il Foreign Office era diretto da Philip Hammond. Il suo successore fu proprio Boris Johnson, ma la “pratica” rimase ferma sul suo tavolo. Lo sviluppo negativo si ebbe con l’arrivo di un nuovo titolare agli Esteri, quel Jeremy Hunt (avversario di Johnson), che definì l’atteggiamento iraniano come la richiesta di un riscatto.

I muscoli deboli della Gran Bretagna

Chiusura netta allora, tutta da rivedere ma nel tempo indefinito di una crisi Brexit che sembra ormai paralizzare ogni attenzione politica britannica. Nel frattempo da Londra gli inglesi continuano a respingere l’addebito. Dagli uffici del Ministero degli Esteri si continua infatti a negare di aver mai «accettato alcun suggerimento circa il pagamento all’Iran per liberare cittadini britannici che sono stati arbitrariamente detenuti. Devono essere rilasciati incondizionatamente».

A New York però è volato anche il marito di Nazim, Richard Ratcliffe, che in qualche modo mette in difficoltà la rigidità inglese: «Nel corso dei tre anni e mezzo in cui Nazanin è stata reclusa – ha detto Ratcliffe – abbiamo ricevuto molti messaggi dalle autorità iraniane che collegavano in privato la prigione di Nazanin al vecchio debito di armi. Quindi sono contento che il ministro degli Esteri Zarif sia stato così chiaro».

Le contraddizioni del Foreign Office

Ratcliffe ha esortato Johnson a non lesinare sforzi per ottenere la liberazione di sua moglie, per riparare alle incongruenze delle quali si è reso protagonista il Foreign Office. L’attuale primo ministro inglese infatti nel 2017 fece sapere che la donna reclusa a Teheran era lì per insegnare giornalismo, una ragione smentita dai familiari che asserirono che la Zaghari si trovava in viaggio per andare a trovare la famiglia.

Gli stranieri prigionieri in Iran

Visto lo scontro attuale tra Iran e Gran Bretagna, la questione dei prigionieri o ostaggi sembra destinata ad assumere sempre maggiore importanza. Un riassunto dei casi noti. Ad agosto un cittadino con la doppia cittadinanza, Anousheh Ashouri, è stato condannato a 10 anni di carcere da un tribunale di Teheran per spionaggio per conto d’Israele.

C’è poi l’australiano Kylie Moore-Gilbert, specialista in politica mediorientale all’Università di Melbourne, detenuto con accuse che rimangono poco chiare. In più anche Jolie King e Mark Firkin, i due blogger anglo australiani arrestati e detenuti in Iran perché usavano un drone senza permesso.

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