Mistero elettorale israeliano finale, il ‘pareggio’ diventa batosta a -20%

Cercate anche voi i risultati finali

Sui grandi quotidiani, sul web, stampa italiana di esteri minoritari, ma anche quella internazionale che guarda con attenzione al mondo, non esistono i risultati del voto in Israele che tanto pesa sulla pace mediorientale e mondiale. Notizia indietro di giorni, dagli exit poll ai primi voti scrutinati quando tutti abbiamo scritto di Netanyahu che ‘forse tiene’, che ‘forse pareggia’, che insegue, che ha ‘forse un seggio in meno’ degli avversari. Forse il mondo dell’informazione, sul fronte israeliano, ha dei problemi. Forse è disattento, forse peggio. Testardi e sospettosi, ci siamo messi alla ricerca. Scoprendo che di fatto non esiste a tutt’oggi, ben quattro giorni dal voto, alcun comunicato sul risultato finale di quelle importanti elezioni. Solo sintesi giornalistiche spesso contraddittorie tra di loro. Scopriamo infine che lo sapremo ufficialmente soltanto mercoledì prossimo, il 25, quando la Commissione elettorale centrale di Tel Aviv comunicherà i risultato finale e ufficiale al presidente Israeliano, per avviare le consultazioni per la formazione del nuovo governo.

Dal ‘forse pareggio’ alla batosta

Litigando col mondo dell’informazione, col nostro mondo, ecco cosa abbiamo scoperto. Che il risultato elettorale del premier uscente Netanyahu non è stato un ‘quasi pereggio’ e neppure una semplice sconfitta, ma una batostra politica di proporzioni inimmaginabili. Rileggiamo le cose note, ma con l’aiuto di Janiki Cingoli, già presidente del CIPMO, il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente, aggiungendon qualcosa di nostro.

  1. Il Likud, il partito delle destra di Natanyahu, che ‘inseguiva’ i Blu e Bianco (i colori della bandiera israeliena) di Benny Gantz, non è indietro di un seggio ma di due (33 a 31).
  2. Che il Likud nelle elezioni di aprile, in soli 5 mesi di feroce campagna elettorale stile Netanyahu è riuscito a scendere da 35 seggi a 31. -4 in un colpo solo e per fermarci all’apparenza.
  3. Se poi aggiungiamo i 4 seggi che aveva il partito centrista Kulanu, presieduto da Moshe Kahlon, convinto a fondersi col partito del premier uscente, allora i seggi persi nella sciagurata campagna elettorale contro tutto e tutti, diventano -8, molto più di alcuni storici partiti israeliani.
  4. Conto politici fatti, «Una emorragia di oltre il 20%, una sconfitta che non si può cancellare, neppure da uno spregiudicato manovratore come l’attuale leader del Likud», annota Cingoli sull’Huffington Post.

Rabbioso Bibi a rischio galera

Trump, notoriamente amico dei vincenti, ha già dichiarato che la relazione degli Usa è con Israele, mentre Benny Gantz, forte dei suoi 2 seggi di vantaggio, rivendica l’incarico di formare il nuovo governo, «un largo, liberale governo di unità», come lo ha definito. Difficile da fare, ma con una sola cosa certa. Per Netanyahu che da subito, faccia di bronzo, offre alleanze a premiership alternata, per lui non ci sarà più posto nel governo di Israele. Per lui ora, prima i conti politioci in casa Likud, partito portato allo sbaraglio, poi quelli con la giustizia, per la grevi accuse di corruzione per cui è stato rinviato a giudizio.

O il voto arabo o quello ‘russo’

Consultazioni dei partiti col Presidente di Israele Reuven Rivlin. Ogni formazione politica in Parlamento, ad indicare il premier che voterebbe, e poi le somme. Il blocco dei partiti di centro-sinistra, includendo la Joint List dei partiti arabi (terza forza con ben 13 seggi), ha 57 seggi, contro i 55 del centro-destra, ma non è detto che i rappresentanti arabi indichino Gantz come possibile Premier. Nessuno dei due blocchi ha la maggioranza di 61 seggi (sul totale di 120 della Knesset), e quindi l’ago della bilancia è il partito Yisrael Beitenu, presieduto da Avigdor Lieberman con i suoi 8 seggi, e che ha la sua forza elettorale nella immigrazione russa. Partito di destra intransigente verso la minoranza arabo-israeliana, ma fortemente laico e contrario allo strapotere dei partiti religiosi ultraortodossi, a favore della imposizione del servizio di leva degli studenti che frequentano le yeshivot, le scuole talmudiche.

O la guerra o la spacca

Netanyau ferocemente pronto a tutto, è l’allarme in questa fase di interregno. Lo scrive Amos Harel, sul quotidiano Ha’aretz, temendo possibili sortite militari a Gaza o a Nord verso il Libano, per imporre un gabinetto di emergenza che lo sottragga almeno per ora alle conseguenze del voto. E i tempi sono brevi. Già il 2 ottobre lo attende il primo interrogatorio di garanzia sull’inchiesta per corruzione, frode e abuso di autorità. Likud disposto ad auto escludersi dopo vent’anni di potere per salvare un leader politicamente moribondo? Dubbio in parallelo: lo ‘storico piano di pace’ inventato dal genero di Trump, Kushner, e promesso per questo fine settembre e già respinto dalla componente araba in Israele, che fine farà?

La nuova forza araba unita

Come rileva Janiki Cingoli, Mentre ad aprile la partecipazione della popolazione araba (in Israele rappresenta il 21% del totale), era stata particolarmente bassa, inferiore al 50%, questa volta ha raggiunto il 60%, testimoniando una reazione degli arabi israeliani agli attacchi e alle minacce portate avanti da Netanyahu nei loro confronti. Dal furto della Cisgiordania al Golan. Il successo della Joint List, la coalizione dei Partiti arabi, con i suoi 13 seggi diventa la terza formazione israeliana, e il suo leader, Ayman Odeh, dovrebbe diventare il leader dell’opposizione, «una posizione che in Israele ha un ruolo particolare, con il diritto ad essere informato periodicamente dal capo di governo e dai servizi di sicurezza e di difesa sui temi più delicati che riguardano lo Stato».

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