
Sui grandi quotidiani, sul web, stampa italiana di esteri minoritari, ma anche quella internazionale che guarda con attenzione al mondo, non esistono i risultati del voto in Israele che tanto pesa sulla pace mediorientale e mondiale. Notizia indietro di giorni, dagli exit poll ai primi voti scrutinati quando tutti abbiamo scritto di Netanyahu che ‘forse tiene’, che ‘forse pareggia’, che insegue, che ha ‘forse un seggio in meno’ degli avversari. Forse il mondo dell’informazione, sul fronte israeliano, ha dei problemi. Forse è disattento, forse peggio. Testardi e sospettosi, ci siamo messi alla ricerca. Scoprendo che di fatto non esiste a tutt’oggi, ben quattro giorni dal voto, alcun comunicato sul risultato finale di quelle importanti elezioni. Solo sintesi giornalistiche spesso contraddittorie tra di loro. Scopriamo infine che lo sapremo ufficialmente soltanto mercoledì prossimo, il 25, quando la Commissione elettorale centrale di Tel Aviv comunicherà i risultato finale e ufficiale al presidente Israeliano, per avviare le consultazioni per la formazione del nuovo governo.
Litigando col mondo dell’informazione, col nostro mondo, ecco cosa abbiamo scoperto. Che il risultato elettorale del premier uscente Netanyahu non è stato un ‘quasi pereggio’ e neppure una semplice sconfitta, ma una batostra politica di proporzioni inimmaginabili. Rileggiamo le cose note, ma con l’aiuto di Janiki Cingoli, già presidente del CIPMO, il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente, aggiungendon qualcosa di nostro.
Trump, notoriamente amico dei vincenti, ha già dichiarato che la relazione degli Usa è con Israele, mentre Benny Gantz, forte dei suoi 2 seggi di vantaggio, rivendica l’incarico di formare il nuovo governo, «un largo, liberale governo di unità», come lo ha definito. Difficile da fare, ma con una sola cosa certa. Per Netanyahu che da subito, faccia di bronzo, offre alleanze a premiership alternata, per lui non ci sarà più posto nel governo di Israele. Per lui ora, prima i conti politioci in casa Likud, partito portato allo sbaraglio, poi quelli con la giustizia, per la grevi accuse di corruzione per cui è stato rinviato a giudizio.
Consultazioni dei partiti col Presidente di Israele Reuven Rivlin. Ogni formazione politica in Parlamento, ad indicare il premier che voterebbe, e poi le somme. Il blocco dei partiti di centro-sinistra, includendo la Joint List dei partiti arabi (terza forza con ben 13 seggi), ha 57 seggi, contro i 55 del centro-destra, ma non è detto che i rappresentanti arabi indichino Gantz come possibile Premier. Nessuno dei due blocchi ha la maggioranza di 61 seggi (sul totale di 120 della Knesset), e quindi l’ago della bilancia è il partito Yisrael Beitenu, presieduto da Avigdor Lieberman con i suoi 8 seggi, e che ha la sua forza elettorale nella immigrazione russa. Partito di destra intransigente verso la minoranza arabo-israeliana, ma fortemente laico e contrario allo strapotere dei partiti religiosi ultraortodossi, a favore della imposizione del servizio di leva degli studenti che frequentano le yeshivot, le scuole talmudiche.
Netanyau ferocemente pronto a tutto, è l’allarme in questa fase di interregno. Lo scrive Amos Harel, sul quotidiano Ha’aretz, temendo possibili sortite militari a Gaza o a Nord verso il Libano, per imporre un gabinetto di emergenza che lo sottragga almeno per ora alle conseguenze del voto. E i tempi sono brevi. Già il 2 ottobre lo attende il primo interrogatorio di garanzia sull’inchiesta per corruzione, frode e abuso di autorità. Likud disposto ad auto escludersi dopo vent’anni di potere per salvare un leader politicamente moribondo? Dubbio in parallelo: lo ‘storico piano di pace’ inventato dal genero di Trump, Kushner, e promesso per questo fine settembre e già respinto dalla componente araba in Israele, che fine farà?
Come rileva Janiki Cingoli, Mentre ad aprile la partecipazione della popolazione araba (in Israele rappresenta il 21% del totale), era stata particolarmente bassa, inferiore al 50%, questa volta ha raggiunto il 60%, testimoniando una reazione degli arabi israeliani agli attacchi e alle minacce portate avanti da Netanyahu nei loro confronti. Dal furto della Cisgiordania al Golan. Il successo della Joint List, la coalizione dei Partiti arabi, con i suoi 13 seggi diventa la terza formazione israeliana, e il suo leader, Ayman Odeh, dovrebbe diventare il leader dell’opposizione, «una posizione che in Israele ha un ruolo particolare, con il diritto ad essere informato periodicamente dal capo di governo e dai servizi di sicurezza e di difesa sui temi più delicati che riguardano lo Stato».