
Uno dei capolavori della carriera politica dell’americano Thomas Jefferson fu senza dubbio l’acquisto dello stato della Lousiana dalla Francia nel 1804: non solo gli Stati Uniti ampliarono notevolmente la loro estensione territoriale raddoppiandola, ma riuscirono anche a ridurre l’influenza della Spagna a nord del golfo del Messico. Da quel momento, lentamente quanto inesorabilmente, l’impero spagnolo scomparve dal Nord America e nel corso del ventennio successivo la proclamazione dell’indipendenza di numerosi territori dell’America Latina li svincolò da quella potenza mettendo fine a un impero coloniale cominciato tre secoli prima ai tempi di Cristoforo Colombo. Non si trattò infatti dell’acquisto della sola Lousiana e del porto di New Orleans, ma anche dei territori che oggi corrispondono grossomodo all’Arkansas, Missouri, Iowa, Oklahoma, Nebraska, Kansas e parte del Minnesota raggiungendo il confine delle Montagne Rocciose ad est e a nord quello odierno con il Canada.
L’aspetto più sorprendente della vicenda, a parte la relativa esiguità della somma pagata alla Francia (15.000.000 di dollari oro), fu la rapidità con cui si concluse e cioè all’incirca nell’arco di tre anni, da quando cioè Jefferson nel 1801 aveva raccolto le informazioni sulla cessione – effettuata attraverso un trattato segreto – dei territori in questione dalla Spagna alla Francia. Poiché al tempo il maggior interesse americano riguardava il porto di New Orleans, punto obbligato dei fiorenti commerci nel golfo del Messico controllato dai francesi, Jefferson con notevole spregiudicatezza, ma anche poca fiducia in un semplice ‘accordo commerciale’ con una potenza europea, ritenne di poter ampliare la portata del negoziato all’intero bacino del Mississipi a nord e dunque non solo al porto situato alla foce del fiume.
Sebbene Napoleone tendesse a dare maggior importanza agli equilibri europei scambiandosi più volentieri ducati e piccoli regni con le potenze del continente, ma si interessasse poco ai possedimenti coloniali, la prima offerta americana non fu nemmeno presa in considerazione. Jefferson, vedendo anche come la Francia, al contrario della Spagna che si trovava sull’orlo della bancarotta, era in piena espansione, per ammorbidire le resistenze di Napoleone arrivò perfino a ipotizzare che in caso di presenza francese sul continente, si sarebbe visto costretto a chiedere aiuto alla flotta inglese, ma era un bluff. E poiché in questo caso la colonia francese di Santo Domingo – preziosa per il lucroso commercio dello zucchero – sarebbe stata in serio pericolo, Napoleone, che si trovava nello stesso momento alle prese con una rivolta sull’isola e una continua guerriglia, scelse di rinunciare ai territori del continente per mantenere invece l’isola.
L’acquisto però fu oggetto di serie (e fondate) critiche negli Stati Uniti. Ci si chiese infatti se i poteri presidenziali, così come previsti dalla Costituzione, consentissero un acquisto territoriale con relativa incorporazione nell’Unione. Da una parte Jefferson sostenne che tra i poteri presidenziali era previsto quello di concludere trattati, ma la sua azione avrebbe richiesto l’approvazione da parte del Senato con la maggioranza dei due terzi. Con un’abile forzatura Jefferson riuscì in soli tre giorni a far approvare il trattato dal Congresso motivando che si trattava comunque di un’azione nell’interesse nazionale e che non sarebbe stata necessaria una legge per l’integrazione territoriale alla quale avrebbero provveduto i coloni americani ‘con l’aiuto della Provvidenza’.