La battaglia dimenticata per Tripoli, Haftar in difficoltà viola la tregua

Tregua tradita del generale perdi sempre

Una brevissima tregua per la festività musulmana di Aidal-Adha, la festa del Sacrificio, dove, ad essere sacrificati sono gli agnelli in omaggio ad Allah. Calendario coranico sino alle 15 del 12 agosto, buon senso sul campo di battaglia dopo oltre 4 mesi di combattimenti, 1.200 morti, 5mila feriti e 105 mila sfollati, e un nulla di fatto militare. La speranza di una tregua di fatto che desse respiro ad una popolazione martoriata da una guerra di nani politici e piccoli duci.

Haftar aveva accettato la tregua proposta dall’Onu annunciando che avrebbe fermato “tutte le operazioni militari alla periferia di Tripoli”, come aveva detto il suo portavoce, colonnello Ahmad al-Mesmari nel corso di una conferenza stampa tenuta a Bengasi. Ovviamente ‘tregua’ vuol dire non solo non sparare, ma far avanzare truppe, e voli di ricognizione in casa altrui. Tradimento subito: bombardamenti dell’11 agosto da parte delle forze di Haftar sull’aeroporto tripolino di Mitiga e il mercato di un quartiere residenziale nell’ Area di Souk Al-Juma.

Bastardagini incrociate

Sabato, nelle stesse ore in cui veniva annunciata la tregua, pronte per essere tradita, un’autobomba è esplosa a Bengasi uccidendo 3 dipendenti dell’Onu ferendone altri 8. Un attentato che forse non è direttamente parte del conflitto intorno a Tripoli ma che segnala ai contendenti libici e al mondo il pericolo vero, del rafforzarsi di cellule terroristiche legate ad al-Qaeda e allo Stato Islamico, attive o dormienti in diverse aree della Libia.

Nei giorni precedenti la tregua, annota Analisi Difesa, le forze aeree del governo di Tripoli (Serray) avevano colpito la struttura logistica nell’oasi di Jufra in cui confluiscono truppe, mezzi, munizioni e carburante per le forze di Haftar, che a loro volta hanno replicato colpendo con i droni l’aeroporto di Misurata dove hanno distrutto un cargo ucraino che trasportava armi per le formazioni tripoline.

Incursioni aeree con i droni Wing Loong 2 (VEDI FOTO DI COPERTINA velivoli cinesi gestiti da contractors degli Emirati Arabi, alleati di Haftar) avevano colpito anche l’aeroporto di Mitiga, bersagliati da Haftar anche con razzi e artiglieria.

L’arrivo di mercenari sudanesi

Nei prossimi giorni prevista una intensificazione degli scontri intorno a Tripoli e nell’area di Giarabulli. Obiettivi contrapposti, per Haftar, tagliare la continuità territoriale tra Tripoli e Misurata, la vera forza armata del governo Serray, grazie anche all’arrivo di mercenari sudanesi. Contro, possibili tentativi di conquistare l’oasi di Jufra per strappare al nemico un’altra base logistica dopo quella di Gharian conquistata nelle scorse settimane. Botta e risposta, più guerriglia che guerra, ma i morti ormai sono ormai da guerra vera.

«Nel disinteresse del mondo e dell’Europa, la battaglia per Tripoli e le sue conseguenze sembrano coinvolgere realmente solo l’Italia», analizza qualcuno, lanciando palla al ministro Salvini che nel frattempo ha fatto saltare in banco governativo, con una tra le poche certezze sul dopo che verrà, che non potrà certo essere ancora lui al MinInterni a gestire migranti ed elezioni. ‘Problemini’ di minor impatto ellettorale di sempre più grave rischio per i nostri militari in Libia, le tensioni attorno all’ospedale da campo italiano a Misurata, con 300 militari presenti.

Infine Haftar, generale girandola

Da una sua biografia decisamente malevola ma estremamente dettagliata e incontestabile nei fatti del maresciallo Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica che vuole conquistare anche la Tripolitania con il suo Esercito nazionale libico. «Gheddafi, conquistato il potere, affidò all’amico Khalifa il comando delle forze armate libiche, prima, e la guida della campagna in Ciad, poi. Ha combattuto in Ciad al fianco di Muammar Gheddafi, poi è tornato in Libia per destituirlo. È stato alleato delle milizie islamiche prima di dichiarare loro guerra. A Palermo ha promesso di rispettare il ruolo di Tripoli e ora sta cercando da quattro mesi di invaderla in un ‘attacco lampo’ che aveva millantato.

Guerra a perdere dalla origini. Il comando della campagna in Ciad. L’operazione militare nel Paese africano si rivelò un tragico fallimento: nel 1987 Haftar venne catturato con 300 dei suoi uomini. Gheddafi, per risposta, negò la presenza di truppe libiche in Ciad disconoscendo quello che era uno dei consiglieri più prossimi. Finita la prigionia, Haftar dedicò due decenni del suo esilio a cercare di rovesciare il regime di Gheddafi come vendetta personale.

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