
«Abbiamo avuto un’elezione negativa. Ora andate a dormire». Così il presidente dell’Argentina dal palco dove la sua lista, a conteggio ancora in corso, aspettava i risultati delle primarie presidenziali. ‘Elezione negativa’, l’annuncio, ma certo non la botta che in realtà è arrivata. La coppia Alberto Fernández e Cristina Fernández de Kirchner è riuscita ad imporsi col 47,65% dei voti sulla coppia Mauricio Macri con Miguel Ángel Pichetto, che ha ottenuto il 32,08%.
Alberto Fernández ha vinto in 22 dei 24 distretti elettorali. Domenica si era votato anche per la candidatura a governatore in quattro provincie. Le più importanti, come la provincia e la città di Buenos Aires. La enorme provincia governata da María Eugenia Vidal, stella del «macrismo», si è fermataal 32,57% dei voti, quasi 17 punti sotto Axel Kicillof, ex ministro dell’Economia di Cristina Kirchner, che ha raggiunto il 49,34%.
«Paso», primarie aperte, simultanee e obbligatorie, che rappresentano la massima polarizzazione del voto, senza reali opzioni per scegliere candidati alternativi ai due principali blocchi contrapposti. Scelti i candidati in corsa, il 27 ottobre le elezioni presidenziali con scarse possibilità di sorprese. Meccanismo complesso. Vittoria al primo turno se ottieni il 45% dei voti validi, o ballottaggio il 24 novembre. Qualche chance per Macrì proprio dalla reazione delle borse.
«La parziale sconfitta del candidato dell’establishment si è espresso nel valore del dollaro, schizzato del 30% in poche ore. Ciò ha un impatto molto forte nell’economia argentina a causa del livello di indebitamento in dollari con organismi internazionali di credito, per l’incremento dei prezzi interni e perché potrebbe provocare un livello d’incertezza tale da indurre gli investitori stranieri a ritirarsi, in cerca di orizzonti più stabili», spiega Ariadna Dacil Lanza sul Manifesto.
Oltre metà della popolazione argentina è fatta da discendenti di italiani emigrati. Come papa Bergoglio. Dei candidati alle elezioni presidenziali, il vincitore, Mauricio Macrì, è di origini calabresi. Il perdente, Daniel Scioli, di ascendenze abruzzesi
Gli europei hanno sempre fatto fatica a comprendere il panorama politico dell’America Latina, e quello dell’Argentina in particolare. In quest’ultimo caso la fatica riguarda soprattutto gli italiani, poiché oltre la metà della popolazione è composta da discendenti di connazionali emigrati laggiù, ed è ovvio l’interesse del nostro Paese per una nazione in cui l’impronta italiana risulta così evidente.
Non è certo un caso, dunque, che entrambi i candidati in lizza alle ultime elezioni presidenziali portino cognomi italianissimi. Il vincitore, Mauricio Macri (o Macrì), è di origini calabresi. Il perdente, Daniel Scioli, di ascendenze abruzzesi. Del resto, chi ha avuto occasione di visitare Buenos Aires sa bene che percorrendo le sue strade si ha spesso l’impressione di trovarsi “a casa”. Le comunità provenienti dalle varie regioni italiane tengono molto a preservare la loro identità. Per quanto mi riguarda, vivendo a Genova, ho notato soprattutto una presenza costante di riferimenti alla Liguria.
Il “mistero” principale della politica argentina è comunque costituito dal peronismo. Si tratta di un movimento politico fondato negli anni ’40 del secolo scorso dal generale Juan Domingo Peron, e che da allora ha sempre avuto un ruolo di primo piano nella vita politica locale.
Definire con esattezza il peronismo, detto anche “giustizialismo”, è molto difficile. E’ un curioso impasto di populismo, socialismo patriottico e assistenzialismo economico. Notevole anche, almeno alle origini del movimento, l’influenza del corporativismo fascista, con l’idea che le classi sociali debbano cooperare tra loro in armonia piuttosto che combattersi. Celebri i “descamisados”, i militanti del partito che tributavano al generale e alla sua prima moglie Evita – protagonista in seguito di un altrettanto celebre musical – una vera e propria idolatria.
Il fatto è che l’influenza del peronismo nella vita politica e sociale argentina non è mai venuta meno, anche a tanti anni di distanza dalla morte del fondatore. Tale influenza attraversa in pratica tutte le classi sociali, pur essendo più forte in quelle popolari. Anche il primo Papa argentino della storia, Jorge Mario Bergoglio (di origini piemontesi), fu peronista in gioventù, e non sono pochi gli osservatori che colgono spesso nei suoi discorsi echi della “filosofia” del movimento.