
Ferie di Augusto, elezioni di Salvini e le disgrazie storiche di ½ agosto. Il 15 agosto 1914, la Prima Guerra mondiale era scoppiata da due settimane e le prime avanguardie di cavalleria russe penetrarono in Prussia orientale. Per i tedeschi, che stavano attuando l’ambizioso ‘piano Schlieffen’ ed erano impegnati con il grosso delle forze a occidente, fu un vero proprio shock. Mentre i cosacchi, cantando le loro canzoni e gridando «Il Kaiser a Sant’Elena», occupavano i primi villaggi di frontiera, i tedeschi corsero però ai ripari. I russi erano combattenti coraggiosi, ma disorganizzati come pochi, soprattutto nei collegamenti: pur disponendo di linee telefoniche non avevano abbastanza filo per collegare i reparti e ricorrevano alla radio regolarmente intercettata dai tedeschi. Quando si seppe che una delle due armate russe sarebbe rimasta ferma, i tedeschi attaccarono pesantemente quella in movimento annientandola e poi passarono alla seconda. La Russia non si sarebbe più risollevata, né avrebbe più avuto l’iniziativa strategica sul fronte orientale.
Il 15 agosto 1971 il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon sospese la convertibilità del dollaro in oro. Sino a quel momento infatti il sistema dei cambi delle valute era stato regolato dagli accordi di Bretton Wood e la decisione unilaterale di Nixon di fatto ne decretò la fine. Il cosiddetto ‘Nixon shock’, che diede origine a quella che fu chiamata in seguito ‘Nixonomics’, da principio funzionò, ma solo negli Usa perché Nixon non aveva considerato che anche le altre monete e non solo il dollaro avrebbero avuto fluttuazioni non prevedibili. La prima seria conseguenza avvenne nel 1973, quando i produttori di petrolio, pagati in dollari, si resero conto che il valore della moneta di pagamento era più basso e – protestando anche per la situazione in Medio Oriente dove si appena conclusa la guerra dello Yom Kippur – decretarono l’embargo petrolifero con le conseguenze che ricordiamo. In seguito si disse anche che la manovra di Nixon del 1971 avrebbe contribuito all’origine del disordine sui mercati finanziari esploso in maniera drammatica tra il 2008 e il 2009.
Il 15 agosto 1867 il Regno d’Italia emanò la legge n. 3848 che disponeva la confisca dei beni degli enti religiosi. Il nuovo stato era infatti indebitato fino al collo per aver combattuto fino a quel momento tre guerre d’indipendenza e le casse erano vuote. Quando tre anni dopo la legge fu estesa allo scomparso Stato pontificio divenuto territorio del Regno, le acquisizioni aumentarono, ma ci si accorse anche non si erano raggiunti i benefici sperati dal pubblico erario. A parte alcuni edifici trasformati in caserme o uffici pubblici, il resto era andato all’asta a prezzi ridotti a causa dell’offerta superiore alla domanda. Alcuni edifici tra l’altro risultarono di dimensioni enormi per gli acquirenti o troppo isolati in luoghi sperduti e rimasero invenduti. Nel frattempo l’organizzazione ecclesiastica, che prima era costituita sulla base degli Stati preunitari, era diventata nazionale e più potente. Meno di vent’anni dopo Francesco Crispi ammise che si era trattato di un mezzo fallimento. Il concordato del 1929, firmato da Mussolini e dal cardinale Gasparri, restituì buona parte dei beni.
Dopo questa breve serie di azioni che si rivelarono alla fine diverse da quelle immaginate, il 15 agosto si potrebbe ricordare per vere calamità naturali a cominciare da un terremoto che sconvolse lo stato indiano dell’Assam nel 1950, seguito da un altro catastrofico sull’isola di Celebes (Sulawesi in Indonesia) nel 1968. Restando in Asia nel 1973 si verificarono in India disastrose alluvioni. Anche in Sudamerica la data ha segnato altri disastri: nel 1976 ‘scomparve’ un aereo di linea della compagnia ecuadoriana – ma solo nel 2001 fu ritrovato il relitto – e nel 2007 in Perù si verificò uno spaventoso terremoto. Una data insomma molto particolare.