India ruba Kashmir perché Trump usa il Pakistan sull’Afghanistan. Proviamo a spiegare meglio in quasi scioglilingua. L’India di prende di prepotenza il Kashmir dopo che Trump ha fatto la sua solita giravolta politica, e perdona e coccola il leader pakistano con alle spalle un apparato militare dai tanti trascorsi qaedisti jiadisti e integralisti assortiti, pur di liberarsi della piaga Afghanistan, in un addio non troppo sputtanante per un seguito comunque post rielezione sua, se gli va bene. E se gli va male, allora avrà da preoccuparsi personalmente di ben altro che dell’Aghanistan. Detta con più eleganza da Giuliano Battiston, «Un conflitto forse si chiude, un altro torna ad aprirsi. Vista da Kabul c’è una linea diretta, anche se sotterranea, che collega il conflitto afghano a quello per il controllo sul Kashmir». «La decisione di Trump di chiudere per via negoziale la partita afghana e di farlo riabilitando diplomaticamente Islamabad ha rimesso in moto processi geopolitici dagli esiti incerti».

I passaggi chiave da capo. Guerra uno, 18 anni di macello, in Afghanistan, vendetta Usa dopo le Torri gemelle dell’11 settembre, e un mucchio di morti dopo (italiani compresi). Negoziato Usa con i Talebani, la cui firma, potrebbe arrivare per l’inizio dell’Eid al-adha, la festa islamica del sacrificio, a partire dall’11 agosto. Simbologia e colpo di scena mediatico. Guerra due, il secondo conflitto che rischia di riesplodere proprio a causa del primo è quello storico ne mai risulto tra India e Pakistan sul Kashmir musulmano ostaggio. «Un colloquio è esemplare della linea diretta Afghanistan-Kashmir. Risale a lunedì 22 luglio, quando il primo ministro pachistano Imran Khan siede al fianco del presidente Trump nella Studio ovale della Casa bianca. Trump in quell’occasione fa una marcia indietro clamorosa rispetto alle accuse rivolte fino a pochi mesi prima a Islamabad, un alleato considerato inaffidabile nella lotta contro il terrorismo».
E il Pakistan diventa partner indispensabile per uscire dal pantano afghano. Trump lo dice in modo esplicito, come sempre e sempre esagerando. O l’accordo o la strage. O la via diplomatica attraverso il Pakistan, dunque, o 10 milioni di civili morti in Afghanistan, «un Paese che potremmo spazzare via dalla faccia della terra in 7-10 giorni». Dichiarazione shock, uomo senza ritegno né vergogna. E anche bugiardo. Trump, ringrazia Imran Khan, e fa il ruffiano con l’India proprio sul Kashmir. «Due settimane fa ho incontrato il primo ministro indiano Modi che mi ha chiesto di agire da arbitro o mediatore», dichiara Trump. Subito smentito da New Delhi, stigmatizza Battiston. Imran Khan, un altro Kim redento nella gloria del Big Trump, usa il Kashmir come merce di scambio sul dossier-Afghanistan, ma a New Delhi, Modi, altro campione di ‘tolleranza e democrazia’ che rifiuta da sempre ogni mediazione sul Kashmir, passa alle vie di fatto, e il Kashmir non è più Stato, ma vile ‘territorio’. E gli orgogliosi cittadini kashmiri avranno presto da ridire

Quale la grossa paura dell’India per il grosso azzardo Kashmir? Ci aiuta a capirlo proprio il rampante leader pakistano, il cui establishment militare aeva sino a ieri sostenuto l’islamismo talebano e foraggiato la guerra in Afghanistan. Imran Khan negli Usa, conferenza allo U.S. Institute of Peace, aveva ufficialmente rigettato la dottrina della «profondità strategica». Appunto prezioso del Manifesto, che attraverso i buonbi propositi di oggi ci ricorda chiaramente il ‘ieri’ che l’India non crede affatto passato. Afghanistan e gruppi islamisti armati, arma pakistana in un eventuale conflitto con l’India. «Ma New Delhi non crede a Islamabad», annota Giuliano Battiston. Ed ecco il colpo dio mano politico-militare indiano sul Kashmir come ‘botta e risposta’. «L’India deve mostrare la propria potenza regionale in un momento in cui sul fronte diplomatico Islamabad, nemico storico, sta per uscire vittoriosa dal conflitto afghano. Mentre il principale alleato di New Delhi, il governo di Ashraf Ghani, è ancora escluso dai colloqui di pace.
Sul Kashmir il «nuovo» Pakistan sceglie la diplomazia, annota l’amico Emanuele Giordana che, da studioso di area e materia, annota il paradosso storico della élite hindu del Kashmir che negli anni Venti volle per la regione uno statuto speciale che li garantisse dall’intrusione dei vicini. Maharaja Hari Singh, a capo di una comunità in maggioranza musulmana, voleva un Kashmir indipendente ma, tra India e Pakistan che se lo volevano inglobare, scelse Delhi. A patto che lo status speciale della regione fosse conservato garantendo ai suoi sudditi un’indipendenza, rimasta tale sino a lunedì scorso. Ora il quasi atto di guerra di parte indiana. E ieri il Pakistan, atto di insolita moderatezza, ha chiesto l’intervento Onu. Pakistan a sorpresa dalla parte dei ‘buoni (o quasi), comunque polemizza ed avverte. «Quel che è successo per il Kashmir non è che la messa in pratica del manifesto del partito di governo, padrino di un’ideologia razzista. Che potrebbe portare a una pulizia etnica in Kashmir e a colpirci di nuovo. Risponderemo».