Casa Bianca zona di guerra, ‘cade’ anche il capo degli 007

Sempre meno alleati,
più amici degli amici

Casa Bianca zona di guerra, ‘cade’ anche il capo degli 007
Il capo degli 007 americani, Dan Coats, lascia l’incarico dopo mesi di ‘battaglia’ con il presidente americano Donald Trump. Al suo posto Trump ha nominato il fedelissimo John Ratcliffe, repubblicano del Texas che ha incalzato l’ex procuratore speciale per il Russiagate, Robert Mueller, durante le sue audizioni in Congresso. L’addio di Coats arriva al termine di mesi di scontro. Coats si è battuto a spada tratta in difesa dei suoi uomini, e in difesa delle loro analisi.
Secondo indiscrezioni, era da mesi che il presidente voleva rimuovere Coats, ‘colpevole’ di averlo contraddetto pubblicamente presentando il punto di vista dell’intelligence al Congresso su Iran, Russia, cambiamento climatico e Isis. Ma sarebbero state soprattutto le parole di Coats sulla Corea del Nord e sulla mancata volontà del leader nordcoreano Kim Jong-un a denuclearizzare che avrebbero fatto irritare il presidente.
A Trump non sarebbe piaciuta neanche la tempistica con cui Coats, poco prima dell’incontro con il presidente russo Vladimir Putin, ha scelto di rendere noti i timori dell’intelligence sulla campagna di cyberattacchi portata avanti da Mosca e che metteva a rischio la democrazia americana.

Il dimissionato Coats

Dare-avere, promozioni utili

Al suo posto Trump ha nominato il fedelissimo John Ratcliffe, repubblicano del Texas che ha incalzato l’ex procuratore speciale per il Russiagate, Robert Mueller, durante le sue audizioni in Congresso.
Ratcliffe avrebbe incontrato privatamente Trump il 19 luglio alla Casa Bianca, colloquio per capire se era intenzionato o meno ad accettare l’incarico. Meno di una settimana dopo Ratcliffee ha incalzato Mueller, accusandolo di non aver seguito le linee guida del Dipartimento di Giustizia

Casa Bianca di Trump
Fronte di guerra,
alcuni dei ‘caduti’

Nomi di peso e prima o poi, conti da saldare.
Steve Bannon , Rex Tillerson, James Comey, Michael Flynn, Jim Mattis, Kirstjen Nielsen: sono tanti i ministri, consiglieri e membri dello staff del tycoon che hanno lasciato prematuramente gli incarichi o sono stati costretti a farlo. La prima a essere licenziata è stata Sally Yates, dopo appena 11 giorni. Poi, un lungo elenco di nomi che se ne sono andati, sino alla cacciata di ieri del coordinatore delle 16 strutture di intelligence Usa, Dan Coats

  • L’8 aprile 2019, Trump con un tweet ha annunciato la fine dell’incarico di Kirstjen Nielsen come segretario della Homeland Security, il corrispettivo del ministro dell’Interno. Al suo posto ha nominato l’avvocato Kevin McAleenan. Alla base della decisione, la crisi migratoria al confine messicano
  • A dicembre 2018 Trump aveva annunciato il ritiro delle truppe Usa dalla Siria e il dimezzamento del contingente americano in Afghanistan. Scelte che avevano portato alle dimissioni del capo del Pentagono, il generale Jim Mattis, che non sarebbe stato informato delle decisioni del presidente. Le truppe Usa intanto restano in Siria e in Afghanistan.
  • Il procuratore generale degli Stati Uniti Jeff Sessions è stato messo alla porta il giorno dopo le elezioni di metà mandato, a novembre 2018. «Caro signor presidente, su tua richiesta rassegno le mie dimissioni», è l’inizio della lettera inviata da Sessions a Donald Trump, Problema, la ‘non adeguara difesa’ sul fronte Russiagate.
  • Tornando indietro nel tempo, la prima testa dell’amministrazione Trump a cadere era stata quella di Sally Yates, ministro della Giustizia ad interim, eliminata a sorpresa per essersi ”rifiutata di attuare” il muslim ban, il bando degli arrivi da sette Paesi a maggioranza musulmana –
  • Trump perde il fedelissimo Flynn. Fu la stessa Yates a riferire che il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, il generale in pensione Michael Flynn, era “ricattabile dai russi” dopo le indiscrezioni su una conversazione con l’ambasciatore di Mosca negli Stati Uniti tenutasi prima dell’insediamento dell’amministrazione Trump. Flynn è stato così costretto a dimettersi il 14 febbraio 2017, ma il presidente lo ha sempre difeso.
  • Usciti di scena anche molti procuratori generali dell’era Obama, tra loro il potente procuratore di New York Preet Bharara, uno dei 46 nominati dall’ex presidente a cui era stato chiesto di dimettersi per assicurare un trasferimento dei poteri “uniforme”. Alla richiesta di andarsene, Bharara replicò: ”Mi cacci”. E il tycoon lo licenziò in tronco.

Le tappe dello scandalo Russiagate

  • Nel mirino di Trump da mesi per il suo ruolo nelle indagini sul Russiagate, il vicedirettore del Fbi Andrew McCabe è stato licenziato il 17 marzo dal ministro della Giustizia americano, Jeff Sessions, per “aver diffuso informazioni ai media e non essere stato onesto, neanche sotto giuramento, in diverse occasioni”. Sarebbe dovuto andare in pensione dopo 48 ore
  • Il Russiagate è stato anche la causa della cacciata dell’ex capo dell’Fbi James Comey, rimosso da Donald Trump. Comey era stato nominato da Obama. Donald Trump “è un bugiardo seriale”, “potrebbe essere vulnerabile a un ricatto della Russia” e “tratta le donne come fossero carne”, aveva dichiarato Comey nel corso di un’intervista.
  • Il capo della comunicazione di Trump Sean Spicer entrò in conflitto con il presidente, che non era soddisfatto del suo operato e aveva deciso di affiancargli Anthony Scaramucci. L’idea della coabitazione non piacque a Spicer, che lasciò il 21 luglio del 2017 –
  • All’arrivo di Scaramucci lasciò anche il capo dello staff Reince Priebus, accusato dal nuovo capo della comunicazione di essere responsabile di alcune fughe di notizie dalla Casa Bianca.
  • Ma anche Scaramucci dura poco. Dopo appena 11 giorni, il primo agosto 2017, è stato allontanato da Trump, che aveva trovato “non appropriati” i suoi commenti in un’intervista con il New Yorker, in cui raccontava senza molti freni delle divisioni all’interno dell’Amministrazione.
  • Omarosa Manigault Newman, ex protagonista di The Apprentice, la trasmissione televisiva condotta per anni da Trump, era assistente del Presidente e direttrice delle comunicazioni esterne. È stata licenziata il 13 dicembre 2017.

Dalla giostra alla sostanza

  • Il 19 agosto 2017 lasciò uno dei fedelissimi del presidente. Steve Bannon, decisivo nel definire la strategia della campagna elettorale di Donald Trump ed esponente di spicco della cosiddetta “Alt-Right” (destra alternativa), che era già stato rimosso ad aprile dal suo incarico all’interno del Consiglio per la Sicurezza Nazionale. Se ne andò per dissapori con il resto dello staff e per essere stato ridimensionato dallo stesso Presidente.
  • Il 6 marzo 2018 anche Gary Cohn, consigliere economico e direttore del Consiglio Economico Nazionale, si dimise, in pieno disaccordo con i dazi sull’acciaio e l’alluminio imposti da Trump –
  • Sette giorni dopo, il 13 marzo, fu la volta del segretario di Stato Rex Tillerson, che venne sostituito con il direttore della Cia Mike Pompeo. I rapporti tra Tillerson e Trump erano ormai deteriorati da mesi. La decisione è arrivata poche ore dopo che il capo della diplomazia Usa si era schierato a fianco di Londra concordando con le conclusioni di Theresa May secondo cui la Russia è “molto probabilmente responsabile” dell’avvelenamento dell’ex spia russa Skripal –
  • Il 22 marzo toccò al generale Herbert Raymond McMaster, consigliere della National Security Agency (Nsa), l’agenzia governativa USA per la sicurezza nazionale. L’allontanamento è avvenuto come in molti altri casi via Twitter. È stato rimpiazzato da John Bolton.
  • Non se ne è andato per contrasti politici, ma per una serie di scandali legati all’uso di fondi pubblici il ministro dell’Ambiente Scott Pruitt, che ha rassegnato le dimissioni il 5 luglio 2018. Ha preso il suo posto Andrew Wheeler.
  • Il 9 ottobre 2018 si è invece dimessa l’ambasciatrice all’Onu Nikki Haley, con il benestare di Donald Trump, con cui però nel corso del suo mandato non sono mancate le divergenze. L’ex governatrice della South Carolina è considerata una grande sostenitrice del presidente e ora potenziale candidata concorrente.

Ovviamente ci siano certamente scordati molti dei ‘caduti’ sul fronte della isteria Trump, ma la stessa stampa Usa a cui ci siamo appoggiati, fa fatica a stare dietro alle intemperanze dell’ «estroso» inquilino della Casa Bianca.

John Ratcliffe, nuovi amici, fin che dura

Tags: Casa Bianca
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