
«La fiducia che avete in me la riponete nell’Europa», è non è una grande frase visto che Ursula von der Leyen è stata eletta presidente della Commissione con soli 383 voti a favore (su 733 votanti), quindi per soli 9 voti, in carica dal 1° novembre prossimo. Poi il tentativi di spiegare alcune rotture di troppo, vedi con i socialdemocratici tedeschi e i socialisti francesi, e l’esclusione dei Verdi. «Era necessario – ha detto – lavorare con i gruppi politici per convincerli e formulare i programmi di lavoro per i prossimi cinque anni e sono estremamente felice che dopo due settimane siamo riusciti a formare una maggioranza pro-europea. È una buona base per cominciare».
La sua nomina è il risultato di un compromesso tra Germania e Francia con il consenso del governo italiano (la versione ufficiale, in crisi dopo il voto ‘disgiunto’) e di alcuni paesi del blocco di Visegrad, anche se il voto parlamentare di bandiera è stato vario e spesso diverso.
Con 383 sì, l’annunciato voto favorevole del M5S potrebbe essere stato determinante per l’elezione di Ursula von der Leyen. La maggioranza a Strasburgo, composta da Ppe-S&D-Liberali, conta infatti 444 eurodeputati ma, tra franchi tiratori e schede bianche, a von der Leyen sono invece mancati, sulla carta, 75 voti dei partiti che sostengono la maggioranza. La Lega non gradisce il voto 5 stelle. «Von der Leyen passa grazie all’asse Merkel, Macron, Renzi, 5stelle. Avrebbe potuto essere una svolta storica: la Lega è stata coerente con le posizioni espresse finora, ha tenuto fede al patto con gli elettori e difende l’interesse nazionale”, si legge in una nota del Carroccio. Una Lega che aveva in realtà trattato per un suo voto a favore. Poi il no, colpevoli ufficiali le aperture ‘verso sinistra’ che l’ex ministra della Difesa tedesca ha fatto nel suo discorso programmatico. Lo stesso ministro delle Politiche europee Lorenzo Fontana, alla riunione del gruppo, aveva riferito di un orientamento verso il no.
Nata l’8 ottobre del 1958, sessantuno anni, medico, di sangue blu, discende da un barone di Brema e madre di sette figli nati in dodici anni dal matrimonio con un altro medico divenuto imprenditore. Decisamente europea, è nata a Ixelles ed è cresciuta nella capitale dell’Europa, dove ha vissuto fino a 13 anni. Politicamente, von der Leyen è figlia d’arte: il padre, Ernst, è stato a lungo presidente del Land della Bassa Sassonia.
La vera novità di un tedesco alla guida della Commissione europea -osservano molti analisti- costringerebbe la Germania ad assumersi una responsabilità europeista che necessariamente dovrà andare oltre il semplice e ripetuto appello a ‘rispettare le regole’. Insomma, la classica politica tedesca dovrebbe smettere il suo atteggiamento moralista, di condanna di chi non rispetta le regole e dovrebbe finalmente fare politica. Da Berlino meno morale e più politica.
Secondo Angelo Bolaffi, filosofo della politica e germanista, dal 2007 al 2011 direttore dell’Istituto di cultura italiana a Berlino, sull’Uffington Post, “Ursula è più europeista di Merkel, nel segno di Adenauer e Kohl”. Il ruolo giocato da Roma nella determinazione della nuova Commissione europea? chiede Umberto De Giovannangeli. “Un errore da parte di Salvini aver fatto la guerra a Carola”. «L’isolamento mi pare evidente, nonostante i buoni tentativi di Tria e di Conte.
Aver fatto la guerra a Carola, che ha praticamente unito tutti i tedeschi dietro di lei, non ha giocato di certo a favore della capacità dell’Italia di pesare nella contrattazione. L’errore clamoroso è stato quello commesso da Salvini e company, facendo un favore ai sovranisti di Visegrad, di bruciare la candidatura alla presidenza della Commissione di un socialdemocratico perbene e amico dell’Italia, di cui parla benissimo la lingua, come Frans Timmermans».
Christine Lagarde intento si dimette da direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, aprendo di fatto la caccia al suo successore alla guida dell’istituto. Un posto per tradizione occupato da un europeo. Le voci su chi potrebbe raccogliere l’eredità di Lagarde già si rincorrono. Fra i papabili candidati ci sarebbe Mark Carney, l’attuale numero uno della Bank of England il cui mandato è in scadenza in gennaio. Ma anche Pierre Moscovici, l’ex commissario europeo agli Affari Economici, di tante attenzioni sui conti italiani.
Dopo essere stata nominata alla guida delle Bce agli inizi di luglio al posto di Mario Draghi, Lagarde ha subito fatto un passo indietro, rinunciando alla sue responsabilità da direttore generale del Fmi. Ora l’addio definitivo il prossimo 12 settembre. La guida del Fmi spetta per una tradizione non scritta a un europeo, mentre la presidenza della Banca Mondiale è di nomina americana.