
Versailles 100, nazional-sovranismi, egoismi e nuove guerre certe
Il 28 giugno 1919, esattamente cinque anni dopo l’attentato di Sarajevo che aveva provocato lo scoppio dellaVersailles 100, nazional-sovranismi, paci ingiuste e nuove guerre certe Prima Guerra mondiale, a Versailles i quarantaquattro paesi coinvolti nel conflitto firmarono l’accordo di pace che sanciva il nuovo assetto europeo (e mondiale) e l’imposizione di durissime condizioni alla Germania che per di più era stata esclusa dalle precedenti trattative con le potenze vincitrici. Nei mesi successivi furono stipulati altri accordi con i paesi sconfitti che definirono meglio le condizioni di pace con l’Austria (trattato di Saint Germain, settembre 1919), con l’Ungheria (trattato del Trianon, giugno 1920) e con la Turchia (trattato di Sevres, agosto 1920). Se insomma le ostilità, la guerra guerreggiata, erano cessate con gli armistizi del novembre 1918, per rimettere un po’ di ordine in Europa e nel resto del mondo dopo il devastante ciclone che aveva imperversato per quattro anni, ne furono necessari altri due di sforzi diplomatici che – alla luce di ciò che accadde vent’anni dopo – non costituirono un successo. La stragrande maggioranza degli storici concorda oggi sul fatto che proprio a Versailles si crearono invece le condizioni per lo scoppio della Seconda Guerra mondiale.
Le potenze vincitrici si erano già accordate durante la guerra sulla spartizione dell’impero ottomano e su quella delle colonie tedesche in Africa e in Asia. Non soddisfatte acquisirono anche parti di territorio tedesco ad occidente (la Francia oltre all’Alsazia pretendeva anche la regione della Saar) e ad oriente la Polonia ottenne un pezzo di Prussia. Soprattutto in Europa orientale lo spostamento dei confini cambiò la geografia politica e le cittadinanze degli abitanti che non sempre furono soddisfatti. Accadde soprattutto per le popolazioni di lingua tedesca che si trovarono a vivere in un altro stato che non ne riconosceva il carattere particolare e non era disposto alle minime concessioni. Più unico che raro, intuendo forse la pericolosa forza disgregatrice degli spettri nazionalisti agitati dalle minoranze, fu il comportamento della Danimarca cui era stata offerta in restituzione l’intera regione tedesca dello Schleswig, perduta nella guerra del 1864. I danesi però si comportarono con notevole saggezza e si limitarono a riacquisire solo la parte settentrionale dello Schleswig – realmente a maggioranza danese – e ammonendo anzi sulla cronica instabilità che sarebbe derivata dalla presenza di una minoranza ‘inquieta’ le cui agitazioni nazionaliste avrebbero potuto perfino condurre a una nuova guerra. Profezia inascoltata perché altrove i sentimenti nazionalisti – o gli egoismi nazionali – ebbero il sopravvento.
L’altra grande questione fu la liquidazione dei danni di guerra, ovvero – poiché il trattato addossava alla Germania tutta la responsabilità del conflitto – fu fatto ricadere l’intero onere delle riparazioni aggravato da una sorta di penale punitiva. Firmando il trattato di Versailles la Germania inoltre sottoscrisse una cambiale in bianco, in quanto l’ammontare delle riparazioni non era stato ancora stabilito dalla commissione che fu creata dopo. Solo l’inglese Keynes, intuendo la connessione tra instabilità finanziaria e precarietà politica, si dichiarò contrario all’imposizione di riparazioni troppo pesanti. L’economista inglese convinse abbastanza rapidamente il suo governo, ma non altrettanto avvenne in Francia dove non si intendeva affatto mettere in discussione l’ammontare del pagamento tedesco. Il risultato fu un compromesso, considerando che la spoliazione delle risorse tedesche richiesta dalla Francia non avrebbe permesso all’economia di quel paese di riprendersi per pagare normalmente le rate della riparazione a tutti gli altri. La Germania, a partire dall’agosto 1919, avrebbe dovuto iniziare a versare rate per un ammontare complessivo di ventuno miliardi di marchi oro e la fornitura di trentotto milioni di tonnellate di carbone all’anno per una durata di dieci anni: una ripresa economica era pertanto difficilissima, se non impossibile, e la situazione politica destinata alla precarietà.
La guerra sul continente europeo aveva provocato la morte di almeno venti milioni di persone, compresi i civili che per la prima volta erano stati massicciamente coinvolti in un conflitto così esteso, ed era difficile immaginare una ricostruzione e una ripresa economica in tempi rapidi. Dopo aver già ammonito dai pericoli di condizioni troppo dure imposte alla Gemania, Keynes – mentre si stava avviando una stagione di piccoli conflitti nelle diverse zone contese dai nuovi Stati – mise nuovamente in guardia sulla conflittualità inevitabile: le asprezze della situazione economica avrebbero condotto a una guerra civile tra forze reazionarie e rivoluzionarie, esasperando fino a una seconda guerra più estesa e peggiore di quella appena conclusa. Fu la seconda profezia inascoltata. Tra il 1919 e il 1939 le forze di orientamento nazionalista o conservatore prevalsero più o meno in tutta Europa trasformandosi in aperti regimi dittatoriali: l’Italia dopo il 1922, poi vari paesi dell’area balcanica o danubiana fino all’avvento del nazismo in Germania nel 1934 e la guerra civile spagnola che segnò la vittoria del franchismo. Francia e Inghilterra nel settembre 1939 erano rimaste infatti le principali democrazie europee in un continente che ormai era pronto per la seconda catastrofe del Novecento.