CSM, magistrati carriere e politica, si sapeva ma ora si scopre il troppo

Un magistrato si interroga
Ignazio Juan Patrone è magistrato della Procura generale della Corte di Cassazione a Roma.
Quasi 40 anni di carriera, da giovane pretore a Genova a una lunga esperienza internazionale.
Per otto anni Pubblico ministero per le violazioni disciplinari dei magistrati, e da quella esperienza le sue considerazioni valgono doppio.

CSM, magistrati carriere e politica, si sapeva ma ora si scopre il troppo

Perché solo i Pubblici ministeri

L’allegra compagnia Ferri, Palamara & C. era impegnata, almeno da quello che sino ad oggi è emerso, solo ed esclusivamente nelle nomine dei procuratori della Repubblica. I presidenti di tribunale, i presidenti di corte d’appello e persino i procuratori generali erano fuori dalla loro attenzione: i procuratori, e solo loro, contavano nel piano di distribuzione delle cariche.
Questo è il dato che sino ad oggi è emerso ed esso non sembra né casuale né legato esclusivamente alle squallide trame notturne per aggiustare, attraverso nomine “amiche”, qualche processo, con la complicità di alcuni consiglieri più simili a distratti passanti (uno di loro per giustificarsi ha persino detto che c’era, ma dormiva !) che a membri eletti di un organo di rilievo costituzionale.
Il problema che emerge da questa piccola storia ignobile è però più ampio. Esso riguarda
l’estensione dei poteri del PM e il controllo su quegli uffici.

Le 5-6 Procure che contano

Oggi chi controlla le nomine dei capi di cinque o sei procure della Repubblica (e di riflesso anche di quelle che per legge indagano, ove ne sia il caso, sui magistrati di quei cinque o sei uffici) ha, di fatto, il controllo dell’azione penale in Italia, può decidere se e come procedere e, soprattutto, se non procedere o se farlo in modo che la notizia di reato resti priva di contenuto effettivo e resti senza seguito.
Tutto ciò emerge con chiarezza dai piani dei compagni di merende notturne, ma se non se lo sono inventato loro. Con la riforma del 2006 si è messo nelle mani del capo della procura, quale unico titolare (come dice il d.lgs. n. 106/2006) dell’azione penale, un potere immenso, di fatto non controllabile se non attraverso forme molto deboli di verifica processuale (l’ufficio del giudice per le indagini preliminari è quasi sempre assai più debole della corrispondente procura) senza alcuna forma di responsabilità se non quella, valevole per i casi estremi, disciplinare.

La categoria del dirigente errante

Del tutto inefficace si è dimostrata la cosiddetta temporaneità degli incarichi direttivi, divenuta nel tempo poco più di una burla, visto il numero scarso – se non scarsissimo – di mancato rinnovo di dirigenti dopo i primi quattro anni da parte del CSM. Del resto, se nei pareri dei Consigli giudiziari e del Consiglio superiore i magistrati sono tutti probi, valorosi e gran lavoratori, non si vede perché i dirigenti – specie quelli “importanti”, quelli sempre sui media – non debbano godere anch’essi di tali encomiastiche valutazioni. La temporaneità si è così presto trasformata in un boomerang, nel senso che si è creata la categoria del dirigente errante, oggi qui come procuratore, domani là come procuratore generale e così via.

Clamori d’accusa vincenti sul giudizio

Insomma, i procuratori della repubblica non devono render conto a nessuno.
Non certo al giudice, se non sulla carta. Tutti sanno che ciò che conta nel processo penale “di peso” non è la decisione finale del giudice, che arriva quasi sempre dopo anni ed anni, ma sono l’iniziativa del PM, la richiesta cautelare, la custodia in carcere, il sequestro dei beni della persona sottoposta ad indagine, misura questa che ormai è prevista in forme abnormi e generalizzate per un gran numero di reati. Ci sono persone, poi dichiarate innocenti, che sono state letteralmente rovinate e società ed imprese che sono fallite. E senza che nessuno abbia avuto nulla da dire.
Il potere di un numero ristretto di capi di procura si è poi accentuato con il continuo spostamento di competenze dalle procure ordinarie a quelle distrettuali che ormai nelle grandi sedi (Roma, Milano, Napoli, Palermo e poche altre) tra criminalità organizzata e terrorismo sono costituite da veri e propri battaglioni di centinaia di magistrati, che si avvalgono di numerosissimi ufficiali di polizia giudiziaria, la cui attività viene concentrata sulle priorità stabilite dal capo dell’ufficio, secondo criteri che non vengono controllati da alcuno.

CSM, tra discrezionalità e arbitrio

Infine dalle intercettazioni sinora note del caso Palamara emerge una realtà che i magistrati italiani conoscono bene, ma della quale – salvo pochissimi – preferiscono non parlare: quella della assoluta discrezionalità, ai limiti dell’arbitrio, che ha il CSM nel decidere le nomine: discrezionalità mascherata da motivazioni fondate su lunghissime ed indigeribili circolari sulle valutazioni di professionalità, sui pareri dei Consigli giudiziari, sulle relazioni dei dirigenti; tutte parole, buone solo a creare spazio ai successivi ricorsi al TAR e stendere una cortina fumogena su accordi di ogni tipo, leciti e, come si è visto, illeciti.
Le condotte oggi emerse non costituiscono una anomalia, qualcosa di estraneo alla storia del consiglio: al contrario si tratta dell’ultima degenerazione – certamente la più grave – di un sistema ampiamente compromesso da molti anni di pratica lottizzatoria e di opacità.
I Palamara ed i Cosimo Ferri non vengono da Marte, non sono ultracorpi pronti ad impadronirsi di noi: essi sono il precipitato di un andazzo che dura da lungo tempo, mai seriamente contrastato da alcuno.

Nessuno è senza peccato

Certamente c’è chi questo sistema l’ha praticato di più, chi di meno: ma nessuno è senza peccato, nessuno lo ha denunciato, almeno da quando anche MD, che era nata con una forte carica anticorporativa, ha deciso che occorreva saltare il fossato ed adeguarsi ai tempi: gli ultimi consigli, da questo punto di vista, sono stati spesso imbarazzanti.
Le circolari poi … esse un giorno valgono ed il giorno dopo vengono derogate, specie per quel che concerne gli incarichi extra-giudiziari e i collocamenti fuori ruolo, il tutto nelle forme del favore di corrente e clientelare e anche qui della più ampia discrezionalità.
Discrezionalità che poi, inevitabilmente, è degenerata nel clientelismo, nella richiesta dell’omaggio vassallatico, nella continua necessità di andare a segnalare nel Palazzo di Piazza Indipendenza il proprio caso, la propria situazione meritevole di attenzione: per ottenere un trasferimento, una nomina da quattro soldi, una “gloria da stronzi” (cito da l’Avvelenata) o un posto di vero comando. Colleghi per bene, stupiti di non essere stati neppure presi in considerazione nella valutazione in Commissione, si sono sentiti rispondere che “non avevano mica segnalato che erano davvero interessati” al posto. Si erano limitati a fare domanda nelle forme previste, gli ingenui.
E chi fra consiglieri ed ex-consiglieri dice “io non l’ho mai fatto, noi eravamo diversi”, mente sapendo di mentire, perché i casi sono due: o l’ha fatto mettendosi d’accordo e usando il vecchio sistema del “questo a te e questo a me”: o davvero non l’ha fatto e non l’ha saputo, ma allora ammette di essere un fesso totale, cui passano davanti agli occhi le pastette senza che se ne accorga.

Le diverse lottizzazioni

Non c’è stata un’età dell’oro, della buona fede assoluta, della pulizia morale: ci sono stati periodi diversi della lottizzazione a seconda delle mutevoli maggioranze tra i componenti togati e quelli laici: basta con le auto-assoluzioni, fanno solo ridere.
Oltre ad aver causato generale discredito alla magistratura ed al suo organo di autogoverno (cosa di cui non mi pare che tutti i miei colleghi si rendano ancora pienamente conto), la vicenda a mio avviso mette dunque in primo piano la questione del consiglio, dei suoi poteri e della sua elezione: oltre a quella del PM (e dei suoi poteri) sotto due punti di vista, fra loro connessi: l’obbligatorietà dell’azione penale e la separazione delle carriere.
Ma di questo, se ne avrete voglia, parleremo in una successiva puntata.

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