
Macedonia Nato nel sud Balcani, ora scopre l’inganno/illusione Ue
Il titolo sulla Macedonia atlantica, frutta pericolosa al tavolo Nato, dal Manifesto nella cronaca di Alessandra Briganti. La Macedonia del nord che cambia nome e fa la pace con la Grecia, e come premio è subito arruolata ufficialmente. Una adesione Nato che diventa formale dopo decenni di sostegni più o meno segreti, dalle bombe Nato sulla piccola Jugoslavia di Milosevic.
A Krivolak, Macedonia del nord, «Decisive Strike», prime manovre Nato nel Paese, dopo il via libera anche del Bundestag all’adesione della Macedonia del nord all’Alleanza Atlantica. Rinviato a settembre invece il voto sull’avvio dei negoziati di adesione con l’Ue, e si svela almeno in parte lo specchietto per le allodole di una ammissione Ue che vede metà Balcani slavi ed albanesi prima di loro lasciati in lista d’atteso nel probabile ‘futuro del mai’.
Oltre 2700 militari da cinque Paesi della Nato, Stati Uniti in testa, e dalla Macedonia del nord che si appresta a essere, entro la fine dell’anno, il 30° membro dell’Alleanza atlantica. «Ed è proprio alla base militare di Krivolak luogo dell’esercitazione congiunta, che punta Washington. L’obiettivo è trasformarla nel centro regionale delle esercitazioni Nato», precisa l’attenta Briganti. Oltre la base arsenale Usa di Camp Bondsteel, Kosovo, altro tassello militare Usa in nome Nato, con un poligono dove sperimentare armi più o meno micidiali e pericolose per l’ambiente.
Non l’Europa, ma la Nato è il vero obiettivo dell’intera operazione. Dall’anno scorso il fronte degli Stati membri dell’Ue contrari all’allargamento è aumentato. Non solo Francia e Olanda, ma ora anche Germania, Lussemburgo, forse Spagna si aggiungono al coro dei no all’avvio del negoziato.
Tensione nel governo del socialdemocratico Zoran Zaev e allarme politico generale. Il premier vola a Berlino, il neopresidente Pendarovski a Bruxelles. In ballo non solo il futuro politico ma la stessa stabilità del Paese e dell’intera regione dove i nazionalismi interni attendono l’occasione. A Tetovo, la ‘capitale’ della minoranza albanese in Macedonia del nord e culla dell’irredentismo albanese che nel 2001 spinse la Macedonia sull’orlo del conflitto c’è aria di rivolta. Segnali, per ora.
Gli albanesi e gli slavo-macedoni in tensione perenne, ognuno con le proprie chiese, la propria lingua, le proprie tradizioni. Nella Macedonia di popoli di quel Paese inventato a Yalta, fine della seconda guerra mondiale come Stato cuscinetto tra la Jugoslavia socialista e la Grecia a tutela occidentale. Ora le bugie di Bruxelles, finalmente svelate, rischiamo di sconquassare fragili equilibri.
Le concessioni del nuovo governo socialdemocratico in alternativa al nazionalismo spinto di Nikola Gruevski. Prima fra tutte, il riconoscimento dell’albanese come lingua ufficiale dello Stato, poi la nomina del primo albanese, Erol Musliu, alla direzione dell’intelligence macedone. La Procura speciale sullo scandalo delle intercettazioni del governo nazionalista di Nikola Gruevski, e la riapertura di alcuni casi giudiziari che avevano avvelenato le relazioni inter-etniche.
E il governo di Zoran Zaev ha bilanciato la perdita dei voti tra gli slavo-macedoni, sempre il puntiglio del cambio di nome, con l’aumento dei consensi tra gli albanesi. Manovra politica afficace che ha però riacceso gli spiriti nazionalisti tra gli slavo-macedoni, maliziosamente alimentati anche da interessi strategici internazionali.
Un terzo della popolazione macedone, e forse di più, è albanese. Con mille contraddizioni interne. Chi ancora sogna di Grande Albania e chi, più concretamente, chiede più diritti nella Macedonia del Nord. La fine di stereotipi antichi: gli albanesi i terroni della Macedonia, primitivi e prolifici. «Un albanese morto è un buon albanese» gridavano gli ultras del Vardar, vincitore del campionato europeo di pallamano. Nazionalisti, razzisti e fascisti. Noto a tutti che gli ultras slavo-macedoni godono del sostegno dei loro politici.
Cambiamenti democratici in corso a Skopje, equilibri ancora precari, e i tentennamenti dell’Europa che diventano localmente dirompenti. Uno scenario che solletica gli appetiti dei nazionalisti albanesi in Macedonia. «Far risuonare le sirene del nazionalismo etnico è considerata ancora l’opzione più conveniente da parte della politica», l’amara osservazione di Alessandra Briganti.