
Xi da Kim, la pace cinese in Asia e la guerra commerciale di Trump
In copertina la foto del leader nordcoreano Kim Jong-un e sua moglie Ri Sol alla cerimonia di benvenuto per il presidente cinese Xi Jinping a Pyongyang, il 21 giugno 2019 (oggi), per la storia. Ben 14 anni dall’ultima volta che un leader cinese ha visitato la Corea del Nord, una lunga pausa di reciproca diffidenza e qualche tensione accuratamente negata. Questa volta, visita di stato con tutti gli onori, preceduta da un servizio di venti minuti al telegiornale cinese. Amicizia cinese rinnovata ed esibita dopo il fallimento del vertice di Hanoi tra Donald Trump e Kim Jong-un dello scorso febbraio. Mossa nordcoreana via Pechino, ma sopratutto grande prova di diplomazia planetaria da parte cinese. Nel giro di pochi giorni il presidente cinese Xi Jinping incontrerà proprio Donald Trump al vertice del G20 in Giappone, prima che lo stesso Trump si trasferisca in Corea del Sud.
Interessante come sempre l’analisi di Pierre Haski, su France Inter che ragiona sullo strano ‘rapporto a tre’, Xi, Kim e Trump, in cui nessuno controlle le regole del gioco. Di sicuro non il presidente degli Stati Uniti, che improvvisa la sua politica coreana (e non solo) passo dopo passo e un tweet a inseguire l’altro. Quesito posto da Haski e rilanciato da Internazionale: il presidente cinese da Kim per facilitare un accordo per la denuclearizzazione o solo per consolidare una zona d’influenza cinese instaurando una pax sinica/cinese in Asia nordorientale per contrastare lo strapotere politico e militare degli Stati Uniti? In piena guerra commerciale con Trump e alla vigilia dell’ incontro con il presidente Usa a Osaka, previsto per la prossima settimana, Xi Jinping certamente vuole una dimostrazione di forza e influenza, dopo le manifestazioni oceaniche di Hong Kong contro.
Minaccia nucleare nord coreana sempre meno esaltata ma che rimane, sia per gli Stati Uniti che per la Cina. Ed ecco l’ipotesi di Pechino «interessata a prendere la Corea del Nord sotto la sua ala protettrice e guidarla verso uno sviluppo economico alla cinese, lontano dall’orbita statunitense». Quindi, pare di capire, è in grado di costringere la Corea del Nord a denuclearizzare, tantomeno Donald Trump, in quella che ironicamente Haski chiama, «la storia d’amore con Kim Jong-un, osteggiata dal rivale cinese». «Tutto questo complica non poco il prossimo vertice tra Xi Jinping e Donald Trump, che inevitabilmente mescolerà il commercio, la tecnologia e la Corea del Nord». Ma se vuoi davvero contemplare il possibile peggio americano, allora parliamo della guerra commerciale tra Trump e Xi che rischia di degenerare, a dar retta a Gwynne Dyer, sempre su internazionale.
«Il modo migliore per avere a che fare con Donald Trump, specialmente se sei un governo straniero che sta negoziando questioni commerciali, è dargli una piccola vittoria. Non deve necessariamente essere grande e importante: a lui interessa soprattutto annunciare un trionfo e quindi sarà lui stesso a gonfiare la tua piccola concessione in una grossa sconfitta. Ricorda solo di sembrare distrutto e sei a posto». Il mentitore elettorale usato per accordi patacca. Il ‘trionfo’ di Trump sul Messico dietro minaccia dazi. Tutte misure che il Messico aveva già promesso in tranquille discussioni precedenti. Quasi da ridere l’accordo ricontrattato col Canada. Unica concessione canadese, dare ai produttori di latte Usa, l’accesso al 10 per cento del mercato del latte canadese di soli tre milioni di persone. Ora qualcuno provi a convincere i canadesi ad acquistare latte da bovini allevati con ormoni della crescita.
«Nessuno in Canada è stato così sciocco da gridare a voce alta che avevano fregato gli americani. I negoziatori canadesi hanno assunto un’aria da sconfitti e Trump ha rivendicato il merito di un “grande affare” e di una “transazione storica”». Questioni più serie con la Cina, dove qualcosa è andato storto, valuta Dyer. «Se i messicani e i canadesi possono aggirare il suo istrionismo, perché i cinesi non lo fanno? Il limite dell’orgoglio cinese, e alcuni allarmi economici semi nascosti. «Il debito totale della Cina, anche se su cifre ufficiali non attendibili, si avvicina a tre volte il pil annuo, che è il livello in cui di solito sale il panico. Di fatto, è lo stesso livello a cui cominciò la depressione economica del Giappone, nel 1991». Ipotesi un po’ azzardata, la ricerca cinese di uno scontro, la minaccia una guerra, non catastrofica. «Taiwan andrebbe bene», butta lì il giornalista Dyer su Internazionale.