Esami di maturità Ue per l’Italia, ma per certi Conti servono i Draghi

Supermario (Draghi) e la letterina di Babbo Natale

Esami di maturità Ue per l’Italia, per certi Conti servono i Draghi
Allora, cominciamo dalla fine. Se i “mercati”, che ci sottopongono a una Tac finanziaria tre volte al giorno, per ora ci fanno prendere qualche boccata d’aria (lo spread ieri era a 233 p.b.) c’è un solo motivo. Uno e basta. E si chiama San Mario Draghi. Che ha preso il suo benedetto “bazooka” e ha sparato tutto quello che poteva sparare. Ha detto che, piaccia o no, abbasserà ancora i tassi (sotto zero!) facendo imbufalire persino quel bullo di Trump. E continuerà il “quantitative easing” cioè a comprarsi i titoli di Stato quasi “avariati” di chi, come l’Italia, predica (anzi, straparla) bene e razzola male. Ai “mercati”, ovverossia a chi ci presta i soldi, per continuare questa corsa allo scasso (debito pubblico) che finora ci è costata il 133% del Pil, le parole di Conte fanno un baffo. E la letterina da Babbo Natale (magari toglieteci Natale) scritta alla Commissione UE c’entra come i cavoli a merenda.

Se la politica litiga coi numeri

No, la differenza la sta facendo Supermario alla BCE, che tutti i risparmiatori europei dovrebbero proporre per la beatificazione alla Congregazione per la causa dei santi. In Vaticano è ovvio, dove di come impiegare denari e dollari fruscianti s’intendono a meraviglia. Ergo, siamo sempre sotto una tenda a ossigeno. Quello attuale è e resta il governo più devastante della storia dell’Italia repubblicana. Una constatazione? Peggio: una previsione. Sì, perché la nostra economia non ha ancora toccato il fondo, tirata con una zavorra da palombaro negli abissi del fallimento. O del “default”, fa più fino. Vedete, il problema dei politicanti, anche di quelli più scafati, è che non vanno d’accordo coi numeri. Figuratevi questi qua, che si stanno dimostrando una manica di dilettanti allo sbaraglio. Punto. L’Istat ha appena detto che il Prodotto interno lordo è praticamente fermo. Mentre a Bruxelles non sanno più che pesci pigliare.

Tria e Conte kamikaze

Discutere col governo italiano è come parlare con un armadio: Dombrovskis e Moscovici chiedono cifre e questi rispondono recitando la Divina Commedia. C’è poco da ridere, il clima è proprio questo. Surreale. Anzi, manicomiale. Non si tratta di “volontà”, buona o cattiva che sia, ma di capacità. Comandare, tracciare la rotta di una grande e moderna democrazia industriale, significa mantenere la barra del timone ferma. E pure la schiena. Dritta. Ma forse ci vorrebbe un busto ortopedico. Quel poveretto di Tria, l’unico che sappia leggere, scrivere e far di conto, è regolarmente spernacchiato dai suoi “patrons” pentastellati e leghisti. E il premier Conte, è mandato avanti, a Bruxelles, a prendersi colpi di manico di pala sui denti da quei “caini” della Commissione. Come se loro fossero dei bruti e noi delle animelle indifese. La verità è che tutte le rassicurazioni che arrivano dal governo sono una colossale presa in giro. Innanzitutto per gli italiani.

Fitch, Standard and Poor’s e Moody’s

Il Paese si sta scollando e tutti i trend economici e finanziari di base lo testimoniano. Il Pil è fermo, il debito pubblico aumenta, la produzione industriale cala, l’occupazione non si muove di uno zero virgola e gli ufficiali giudiziari sono stati convocati per la fine dell’anno. Le previsioni di Fitch, Standard and Poor’s e Moody’s sono nere. Quelle di DBRS, che finora ci ha tenuto bordone, presto cambieranno. E prima lo spread e poi gli interessi sul debito schizzeranno nella stratosfera. Andiamo verso una crisi di liquidità, da sindrome greca. O cipriota, fate voi. Che si manifesterà in autunno. E pure l’Argentina di Peron non è lontana. Gli osservatori strepitano tutti, mani ai capelli, e i cortei funebri per il sistema-Paese sono già cominciati, prima che il morto cali nella fossa. Ma non si muove foglia. Il dibattito sul nostro scasso sembra fatto sul lettino di uno psicanalista.

Fiducia e la crescita che verrà

Alle domande di chiarezza (numeri, cifre, certezza della finanza pubblica) si risponde con “fiducia” e continui richiami a una “crescita”, che è sulle bocche di tutti e nelle tasche di nessuno. Qui l’unica cosa che cresce veramente è il debito pubblico. Il governo, insomma, ha già messo in moto l’algoritmo della catastrofe. Lo Stato dovrà caricarsi sempre di più di interessi sul debito (sempreché qualcuno continui a prestarci i soldi) per poter funzionare e pagare stipendi, pensioni e mandare avanti il carrozzone dei (dis)servizi pubblici, che già sono in condizioni preagoniche. Sanità, trasporti, scuola, tanto per citare i primi che ci vengono in mente e sui quali hanno risparmiato alla chetichella con un gioco di prestigio. Le tasse reali (attenzione, non quelle nominali) non potranno diminuire, se no, calcolatrice alla mano, lo Stato calerà definitivamente la saracinesca.

 

Cattiveria finale

Figuratevi che già stanno cercando col cappello in mano i soldi per neutralizzare l’aumento dell’Iva. E la tanto invocata “luce della speranza”? Tranquilli. Ce la taglieranno di netto, in autunno, con un colpo di forbici e da un giorno all’altro. Perché non pagheremo le bollette e, forse, non riusciremo manco a trovare le candele.

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