
Crisi petrolifera 1973, le domeniche a piedi: oggi sarebbe ben altro
Dalla prima grande crisi petrolifera che cominciò nell’ottobre 1973 sono passati più di quarantacinque anni e il mondo è radicalmente cambiato sotto diversi aspetti, tranne che per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico che continua a basarsi ancora sul petrolio: il pensiero che la grande arteria di traffico dello stretto di Hormuz si interrompa per un conflitto o per un altro motivo è decisamente inquietante. Vale quindi la pena di ricordare i fatti che provocarono la crisi del 1973 e le sue conseguenze sul mondo occidentale.
Dettagli economici: nell’arco di poco meno di un decennio, dal 1973 al 1981, con un picco nel corso del 1979-1980 in seguito alla rivoluzione khomeinista, all’interruzione delle forniture iraniane di petrolio e allo scoppio della guerra tra Iran e Iraq, il prezzo raggiunge i 34 dollari al barile, 19 volte il prezzo di 11 anni prima. Cosa accadrebbe adesso? 52,48 dollari al barile (+ 2,62%), mentre i future sul Brent sopra la soglia dei 60 dollari dopo le notizie dal golfo di Oman.
Era il 6 ottobre 1973 quando Egitto e Siria attaccarono Israele nel giorno della festività religiosa ebraica dello Yom Kippur. La data era stata scelta nella convinzione che in un giorno festivo le difese israeliane fossero meno guarnite del solito ed in effetti nelle prime ore si verificò un effimero ‘effetto sorpresa’ a favore degli attaccanti, ma con il passare del tempo si rivelò meno determinante di quanto sperato. L’Egitto attaccò varcando il canale di Suez puntando verso nord attraverso la penisola del Sinai e la Siria mosse colonne corazzate attraverso il Golan puntando a sud: come in molti piani militari (che sulla carta risultano perfetti), la tenaglia strategica alla fine però non funzionò. Nonostante le gravi perdite subite nella prima settimana di guerra, il 15 ottobre gli israeliani, che avevano individuato un punto debole tra la II e la III armata egiziane, riuscirono a loro volta ad attraversare il canale di Suez da est ad ovest e in tre giorni circondarono una delle due armate egiziane giungendo a circa un centinaio di chilometri dal Cairo. Sul Golan nemmeno i siriani furono più fortunati: nonostante la superiorità numerica in mezzi corazzati (si disse di sei a uno al momento dell’attacco) furono fermati comunque, anche se con gravi perdite, e una puntata avanzata israeliana si fermò a quaranta chilometri da Damasco, cioè più o meno in grado di colpirne i sobborghi con l’artiglieria pesante.
Alle ostilità contro Israele non avevano partecipato solo Egitto e Siria, ma con il passare dei giorni si erano aggiunti altri stati arabi come Giordania e Iraq che inviarono piccoli contingenti e altri che parteciparono alla coalizione in forma diversa, come Arabia Saudita e Kuwait che preferirono un generoso sostegno finanziario: anche il colonnello Gheddafi, che prima aveva fornito all’Egitto aerei da combattimento di produzione francese, preferì poi l’invio di una rilevante somma, soprattutto enfatizzando particolarmente la notizia come era nel suo stile. Il piano militare non fu tuttavia quello dove si manifestarono le più strette collaborazioni all’interno di quello che un tempo si chiamava il ‘mondo arabo’, ma quello economico in particolare all’interno dell’Organizzazione dei paesi produttori di petrolio: per far si che i paesi occidentali non appoggiassero più Israele, fu ridotta infatti la fornitura di greggio o ne fu aumento il prezzo. Le turbolenze sul mercato provocate dall’aumento dei prezzi di fatto si stabilizzarono solo tre anni dopo, ma le conseguenze immediate sull’economia e più in generale sulle condizioni di vita degli europei sono ricordate ancora oggi, magari minimizzando e non riconoscendo che si trattò di un vero e proprio shock petrolifero, ma non solo.
Ancora più grave fu però la combinazione di questo fatto con un altro avvenimento di due anni prima, quando gli Stati Uniti – guidati all’epoca da Richard Nixon – abbandonarono unilateralmente il sistema di Bretton Wood fondato nel 1944 che garantiva la stabilità monetaria attraverso la convertibilità in oro delle diverse valute. Il dollaro con cui si acquistavano i prodotti petroliferi era già in corso di svalutazione e diventava sempre più difficile acquistare una merce il cui prezzo saliva mentre la quantità diminuiva. Sembrava insomma di essere davvero ad un passo dalla ‘tempesta perfetta’ perché tutto il sistema dei cambi era diventato fluttuante (e non solo negli Usa) e la domanda di un bene essenziale come il petrolio restava comunque alta. A novembre gli Stati Uniti approvarono una legge per regolare da parte governativa tutto il mercato petrolifero interno, seguiti nelle stesse scelte da altri stati occidentali. Alcuni, che evidentemente si erano già posti dei problemi anche sul piano della sicurezza nazionale nel campo degli approvvigionamenti e si erano dotati di scorte strategiche, reagirono con relativa tranquillità, ma altri – meno previdenti e molto più preoccupati – dovettero limitare drasticamente tutta la catena dei consumi e le abitudini dei cittadini. L’unico aspetto positivo fu cominciò allora un ripensamento critico sull’economia mondiale fondata sul petrolio, ma dopo quasi mezzo secolo si ha l’impressione che molto resti ancora da fare.