L’inutilità degli spippolatori social e il mio paese bello

Tra gli spippolatori social più compulsivi, quelli che mi esaltano maggiormente sono i dispensatori di buoni consigli. Quando il buon esempio non solo non è contemplato, ma neanche pensabile. Sono i profeti del condizionale, del ciò che andrebbe fatto. Quelli che non hanno mai vissuto l’ebbrezza del passato prossimo, di quel bel verbo che determina ciò che è stato fatto e che è utile testimonianza.
Gli spippolatori condizionali imperversano con le denunce, con le foto, con le inchieste minime su questioni facilmente risolvibili: tipo raccogliere le cicche per terra invece di fotografarle, rimettere in piedi un cartello invece di denunciarne la caduta. Brandiscono il ciò che sarebbe bene fare senza mai una volta prendersi la briga di farlo, nel silenzio, senza troppa enfasi, senza prendere la propria vita per uno sceneggiato da social.
Spippolando spipolando ti spiegano com’è i mondo che osservano dallo schermo del cellulare. Declinazione naturale del farabutto che invece di aiutare una persona in difficoltà, la filma per poi postare il video su facebook.

Fosse solo questo. Uno si accontenterebbe di avere a che fare con una masnada di cretinetti del telefonino. Invece no. Non soddisfatti, allargano la sfera della loro visione mediatica al mondo: ed eccoli a spippolare per farti sapere come fanno la differenziata dalle parti di Snæfellsjökull, l’importanza dell’erbapipa nella dieta ecologiusta e culturalmente determinata. Oppure a sostenere cause. Una, dieci, mille cause, mai una lotta che riguardi esattamente il proprio quartiere, il paese, il lavoro, il senso dell’abitare civico e poetico. Mai un’azione che aiuti il prossimo a sapere una cosa in più, a conoscere la poesia per non temerla, a vivere pienamente senza paure e senza una visione razzista e fascista della vita.
Spippolatori di modelli remoti di buon vivere, affermatori di quelle che altri dovrebbero fare, mentre loro, affaticati al telefonino, continuano a battersi come leoni contro i mulini a vento della vita ignobile a colpi di like e condivisioni. Li adoro, un giorno tutti analisti del voto, politilogi da tastiera o scrittori. Li preferisco di gran lunga ai tromboni dell’arena mediatica televisiva. Bello, bello bello il virtuale dove tutto e il contrario di tutto si affollano furibondi, aggressivi e con certe sicurezze da applausi. Ore e ore di ticchettare civile, di like e condivisioni, di chatterie e fatica fatichissima.
Che se poi una volta, tanto per fare un esempio, prendi un’ipotesi remota e virtuale di buona civiltà e la porti nel reale chiedendo agli spippolatori un’azione semplice ma vera, scoprirai che sono come il fumo, svaniscono nell’aria. Evaporano con i loro like, con le teorie del condizionale, con l’inutilità di chi passa la vita a spiegarti come andrebbe fatto qualcosa che basterebbe semplicemente fare.

Ah, la cara Simone Weil del “Fare del pensiero un’azione”.

Ps
Nel mio paese bellissimo, San Quirico d’Orcisa, amministrato bene da decenni e decenni – e si vede – il volontariato è un motore dell’attivismo sociale e politico. Le cose si fanno per il bene comune. Finché così sarà, si vivrà meglio che altrove, dove lo spippolamento e il vituale mascherano l’azione nefasta dell’interesse privato prevalente, ahimè, su quello collettivo.

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