Batoste elettorali e stile nella storia: Churchill, De Gaulle e poi i Gigino

Winston Churchill e la sconfitta vincente

Batoste elettorali e stile nella storia: Churchill, De Gaulle e poi i Gigino

«Il successo – diceva Winston Churchill – è l’abilità di passare da una sconfitta all’altra senza perdere l’entusiasmo» e indubbiamente, dallo scoppio della Seconda Guerra mondiale nel settembre 1939 fino almeno al 1942, le sconfitte subite da sir Winston furono parecchie, sebbene non prive di rivincita, anche se l’attesa raramente fu breve o serena. Churchill aveva guidato l’Inghilterra in guerra e sembrava avesse salvato anche il vecchio impero britannico, ma nel luglio 1945 alle elezioni – le prime dopo dieci anni, in quanto durante la guerra non se ne tennero – i laburisti conquistarono un’ampia maggioranza di seggi battendo duramente i conservatori. I risultati costituirono certamente una sorpresa, data la grande popolarità dell’uomo politico, ma non si trattò affatto di un annuncio fulminante subito dopo la chiusura delle urne: per conoscere infatti i risultati si dovette attendere quasi un mese per le difficoltà nel conteggiare i voti dei militari inglesi sparsi nei continenti. Il cattivo esito del voto si manifestò pertanto gradatamente, dando tempo allo statista forse di riflettere. Si racconta che, in un colloquio familiare avvenuto tra le mura domestiche, la sconfitta fosse stata definita una sorta di “benedizione mascherata” e Churchill si dimostrò addirittura comprensivo verso i sudditi britannici, ricordando quanto avevano passato durante la guerra. Il 27 luglio 1945 si dimise passando le consegne al suo successore, rammaricandosi soprattutto di non poter più essere presente alle riunioni di gabinetto a Downing Street dopo un trentennio di straordinaria vita politica. Vinse nuovamente le elezioni nel 1951, ma nel frattempo aveva rafforzato il suo prestigio internazionale e soprattutto si era dedicato alla stesura della storia della guerra e delle sue memorie personali.

De Gaulle e Colombey-les-Deux-Églises

Altro grande sconfitto dai propri elettori, dopo aver goduto di enorme popolarità, fu anche Charles De Gaulle, che – in comune con lo statista inglese – aveva guidato la lotta di liberazione di un paese in guerra. De Gaulle, ricoprì la carica di capo del governo provvisorio dal 1944 al 1945 e fino al 20 gennaio 1946 fu presidente del consiglio dei ministri: abbandonò in aperto contrasto con le altre forze politiche che, a suo parere, non stavano imboccando la via giusta per rifondare la Francia dopo la guerra. Visse appartato a Colombey-les-Deux-Églises (nell’Alta Marna) fino al 1958, quando fu eletto presidente della repubblica sulla base della sua proposta di una nuova costituzione. Cominciò così il decennio gollista, che non fu proprio facile: oltre alla riforma presidenziale, dovette affrontare la decolonizzazione (Algeria) e soprattutto, subendo un paio di attentati, le minacce di morte dell’OAS che invece non voleva cedere le colonie. Affrontò anche con cipiglio la guerra fredda, si ritirò dalla Nato per difendere gli interessi francesi, si dotò di un arsenale nucleare e chiuse lo storico dissidio franco-tedesco all’origine di due guerre mondiali. Sebbene a questo punto si aprisse davanti a lui un percorso quasi napoleonico, l’esito del referendum costituzionale del 1969 fu invece la svolta: sebbene l’anno precedente avesse stravinto le elezioni, lasciò il potere all’improvviso per la mancata conferma elettorale della sua seconda riforma costituzionale. Per evitare che la sua figura potesse essere in qualche modo strumentalizzata durante la campagna elettorale per il nuovo presidente, trascorse un mese in Irlanda e un mese in Spagna in una sorta di esilio, ripreso dai reporter da lontano in solitarie passeggiate.

 

Altre sconfitte, diversi comportamenti

Difficile, o quasi impossibile, individuare una terza figura dello stesso peso che nel Novecento in Europa abbia reagito nello stesso modo a una disavventura elettorale: il comportamento di Churchill e De Gaulle sembra ancora oggi più unico che raro. Anche varcando l’oceano per sbarcare negli Stati Uniti alla ricerca di casi analoghi le apparenze ingannano, perché nella corsa per l’elezione presidenziale o per la riconferma, vittoria e sconfitta sono nette e non concedono alternative ai candidati. Lo sconfitto insomma deve accettare il risultato e la scelta personale successiva diventa obbligata. Qualcuno finisce poi dimenticato, come Mitt Romney, sconfitto da Obama nel 2012, o spesso rimane in politica assumendo incarichi importanti, come John Kerry, sconfitto da G. W. Bush nel 2004, che divenne segretario di Stato. Per quanto provata dalla campagna elettorale e dall’esito sfavorevole del voto, si deve ricordare anche Hilary Clinton che mantenne una calma esemplare uscendo in pubblico dopo la sconfitta subita da Trump. Ultimo infine tra gli sconfitti alle presidenziali ha un posto di rilievo anche il senatore John McCain, soprattutto per l’indipendenza di giudizio dimostrata anche nei confronti dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Al contrario sembrano molto più numerosi i casi di personaggi di secondo piano che si sono abbarbicati sino all’ultimo, ma l’elenco risulterebbe troppo lungo. E litigioso.

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