
Usa-Cina, dispetti, cyberguerra, spie e la Cia Social
Dopo l’affaire Huawei (retromarcia Usa con tre mesi di ripensamenti), l’amministrazione Trump che prima grida e poi pensa, e ci ripensa, ora ‘valuta’ se porre limiti anche a un altro gigante cinese, Hikvision, a cui vietare la tecnologia statunitense per i dispositivi di riconoscimento facciale, che i cinesi usano nella regione autonoma nord-occidentale dello Xinjiang contro vere o presunte minacce terroristiche. E gli Usa, o loro comodo, ridiventano sceriffi del mondo. Lo scrive il New York Times, citando fonti vicine all’amministrazione Usa. Più malignità che danno reale, visto che quella tecnologia è ormai diffusa.
In realtà, la storia è un po’ più seria di quanto svelato dal NYT. Nel mirino di Washington per il sospetto di spionaggio ci sarebbero, in totale, cinque aziende tecnologiche cinesi, secondo quanto riporta l’agenzia Bloomberg. Tra le probabili nella ‘lista nera’come Huawei la settimana scorsa, c’è anche il gruppo Dahua, che assieme a Hikvision è tra i più grandi fornitori al mondo di hardware per la sorveglianza. Nell’eterno gioco di guardie e ladri, la struttura di sorveglianza è la prima a dover avere accesso ai segreti da difendere ed è la prima sospettabile in caso di guai o di dissensi
Hikvision, secondo quanto scrive Global Times sul suo account Twitter, dichiara di non avere mai condotto attività «in violazione dei diritti umani nello Xinjiang». Minacce Usa ancora teoriche, ma intanto, a notizia pubblicata dal New York Times, le azioni del gruppo quotato alla Borsa di Shenzhen hanno aperto segnando un ribasso del 9%, che un bel modo carogna per colpire. Hikvision ha oltre 34mila dipendenti al mondo, ha fornito prodotti per le Olimpiadi di Pechino 2008 e dei Mondiali di calcio in Brasile del 2014, e tra i suoi clienti conta anche l’aeroporto di Linate, a Milano.
Il 6 Giugno 2014 fu il primo cinguettio ufficialmente spionistico su Twitter. Tweet dall’account @CIA decisamente intrigante: «Non possiamo confermare né smentire che questo è il nostro primo tweet». Nella stessa settimana fu attivato anche l’account ufficiale su Facebook. Ora, dopo quasi cinque anni, l’esordio anche su Instagram. Parentesi italiana: vien da ridere che nel Paese dei segreti di Pulcinella, non esista non dico un Tweet dell’Aise o un Istagram Aisi, ma non trovi neppure un indirizzo di riferimento formale -modello Langley- per i nostri servizi segreti che tutti sanno però dove abitano.
Rimaniamo in America, che è più divertente. Gina Haspel, direttore della CIA da circa un anno, lo aveva preannunciato. Ora la presenza su Instagram, cha ha una rilevanza non inferiore a Facebook e Twitter, pare sia considerata strategica dalla CIA. Oltre il desiderio di “dare maggiore trasparenza” annunciato dalla Haspel. La Central Intelligence Agency -scrivono i bene informati del settore intelligence- «sta esplorando nuovi modi per migliorare il reclutamento. Più candidati con competenze linguistiche, cyber e nel dominio STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics».
Sheronda Dorsey, a capo del ‘CIA Talent Acquisition’, lo ha spiegato in un’intervista alla CBS, scrive su Analisi difesa Eugenio Santagata. «Aziende e altre organizzazioni governative competono con noi per l’assunzione di questi nuovi talenti». Ed ecco i quiz anche su Instagram. Come fu nel 2018 con un puzzle radiofonico promosso dalla National Cyber Security Centre, l’agenzia governativa inglese specializzata in spionaggio e controspionaggio delle comunicazioni. Nel 1942 la pubblicazione di un cruciverba sul Telegraph giocò un ruolo decisivo nella selezione degli esperti che e riuscirono a decrittare i messaggi cifrati di Enigma.
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