
Golfo persiano da Re Dario, prima del petrolio e di Donald Trump
Prima ancora che si cominciasse solo a sospettare che la causa di molte guerre potesse essere il petrolio, il Golfo Persico era già stato scenario di conflitti e operazioni militari di grandi imperi. Per un migliaio di anni, il non breve arco di tempo dal Settimo secolo a.C. al Terzo secolo d.C., il golfo fu oggetto di contesa tra diversi popoli quali i Medi, i Persiani, gli Acmenidi, i Seleucidi e i Parti. Il re persiano Dario il grande fu però il primo ad esercitare un controllo navale quasi completo sulle sue acque inaugurando così una lunga tradizione di potenze militari e commerciali che dal golfo si espandevano verso l’oceano Indiano o risalivano il corso dei fiumi come il Tigri. Allora, come oggi, l’importanza geo-strategica del mare interno racchiuso dal golfo era infatti enorme.
Il passaggio della ‘via della seta’ per secoli ne aumentò ulteriormente l’importanza coinvolgendo Cina e India in relazioni regolari che sembra ebbero inizio già a partire dal terzo secolo a.C. I primi europei che si inserirono in questo animatissimo crocevia del mondo furono i portoghesi: seguendo la direzione indicata da Vasco de Gama nel sedicesimo secolo verso l’oceano Indiano, nel 1551 Antonio Correia – interessato al florido commercio delle perle – stabilì degli insediamenti sulla costa dell’attuale Baharain. Nel 1602 però Shah Abbas, imperatore persiano della dinastia Safavide, scacciò i portoghesi dalla costa e nel 1622, con l’aiuto di navi inglesi, occupò l’isola di Hormuz assicurandosi così il controllo dello spazio interno e intrattenendo poi vantaggiose relazioni commerciali con mercanti inglesi, francesi, olandesi, spagnoli e con gli appena ‘scacciati’ portoghesi.
Nel 1871 fu la volta dell’impero ottomano che consolidò il proprio dominio sull’attuale Qatar: la nuova provincia ottomana, dipendente dal pascià di Bagdad, rimase parte dell’impero fino alla dissoluzione dopo la Prima Guerra mondiale. Nel frattempo, dalla metà del diciottesimo secolo, al di la dello stretto di Hormuz, si era affacciato un altro protagonista: nel 1763 infatti l’inglese Compagnia delle Indie orientali aveva insediato a Bushehr, sulla costa persiana del golfo, un ufficio distaccato dell’amministrazione dell’impero indiano. Da tale posizione, che aveva una parvenza commerciale e meramente amministrativa, l’Inghilterra però esercitò un’influenza costante su altri piccoli stati che si affacciavano sul golfo e in particolare sull’attuale Oman, chiamato al tempo in maniera molto suggestiva “Costa dei pirati”.
La conclusione della Prima Guerra mondiale, con la dissoluzione dell’impero ottomano – provocata anche dalla rivolta araba suscitata dagli inglesi – e la rinascita della Persia a nord, la situazione cambiò nuovamente. La presenza inglese si rafforzò ancora aumentando l’influenza sui piccoli stati rivieraschi che nel frattempo avevano assunto essi stessi una forma statuale, sia pure nella versione obbligata del protettorato britannico. L’ultimo atto del controllo inglese sulle acque del golfo si ebbe durante la Seconda Guerra mondiale: attraverso lo stretto e risalendo il golfo, furono avviati rifornimenti all’Unione Sovietica: dalla Persia, attraverso la ferrovia Transiraniana costruita tra il 1927 e il 1938 (chiamata anche “corridoio persiano”), era infatti possibile raggiungere il territorio russo.