
11 maggio di tanti anni fa in Sicilia, Garibaldi sovranista o globalista?
Dopo cinque giorni di navigazione -partiti la sera del 5 maggio da Quarto, pochi chilometri a levante di Genova-, il «Piemonte» e il «Lombardo», i due vapori della società Rubattino che trasportavano a bordo i Mille di Garibaldi, la mattina dell’11 maggio 1860 giunsero in vista delle coste della Sicilia tra Favignana e Marettimo. Nello stesso momento però sulla costa il semaforo da segnalazione della marina borbonica comunicò la notizia della presenza delle due navi alla flotta che da giorni era già in stato d’allerta: le navi borboniche fecero rotta allora su Marsala per intercettare i due vapori giungendo tuttavia troppo tardi. Le due navi garibaldine infatti avevano scelto Marsala solo all’ultimo momento e dopo che l’equipaggio di un mercantile inglese aveva dato la notizia che nel porto non si trovavano navi militari borboniche, ma solo mercantili e due vascelli inglesi. Lo sbarco vero e proprio iniziò intorno alle tredici e trenta: il «Piemonte» sul quale si trovava lo stesso Garibaldi puntò direttamente al molo, mentre il «Lombardo», di stazza maggiore e carico dei materiali della spedizione, si arenò in una secca, anche se poi molti sostennero che Nino Bixio, comandante della nave, avesse voluto invece sacrificarla deliberatamente per accelerare lo sbarco dei materiali da una posizione più vicina alla costa.
Lo sbarco procedette comunque anche grazie a barche e paranze locali e fu subito occupato l’ufficio telegrafico, dove un garibaldino si precipitò all’apparecchio rispondendo alle insistenti chiamate che tutto era regolare e prima ‘si era sbagliato’ nella trasmissione. Più complicate furono le vicende del pomeriggio e cioè quando si presentarono le navi borboniche. Nel porto si trovavano infatti le due fregate inglesi e i comandanti borbonici esitarono ad aprire il fuoco. A parte la presenza di marinai della Royal Navy, sulla banchina si trovavano anche altri inglesi appartenenti alla marina mercantile impegnati nel carico di merci ed inoltre a poca distanza c’erano anche i magazzini delle compagnie commerciali britanniche che importavano prodotti dalla Sicilia. Il rischio di provocare un serio incidente internazionale colpendo sudditi e beni stranieri era reale e tanto bastò a ritardare il bombardamento o un eventuale contro-sbarco all’inseguimento dei garibaldini. Garibaldi scrisse nelle memorie che «la nobile bandiera di Albione» aveva impedito lo spargimento di sangue, ma i borbonici alla fine spararono lo stesso sul molo e sulla nave garibaldina in secca, senza però ottenere nulla di concreto e furono quindi nuovamente fermati dalle proteste inglesi. Il resto dei danni sul vapore incagliato sembra lo abbiano fatto invece gli abitanti di Marsala che cercarono nei giorni successivi di recuperare tutto quello che poterono dal relitto, mentre l’altro battello, il «Piemonte», fu trainato a Napoli da una delle navi borboniche.
Se i comandanti delle navi da guerra inglesi avessero voluto favorire Garibaldi tergiversando nelle trattative coi borbonici o più semplicemente evitare danni alle altre navi mercantili e alle loro merci in porto è motivo di accesa discussione da più un secolo e mezzo e non sembra ancora giunta una parola definitiva. Ancora più controversa però fu la questione dell’accoglienza da parte della popolazione di Marsala: ufficialmente il consiglio comunale -sollecitato energicamente e in maniera assai convincente dal mazziniano siciliano Francesco Crispi- proclamò decaduta la dinastia dei Borboni e Garibaldi dittatore della Sicilia, ma il resto della popolazione civile sembra si sia dimostrato piuttosto freddo e del tutto privo di ogni esultanza, come invece si sostenne in seguito. Molto secco in tal senso il giudizio dello scrittore garibaldino toscano Giuseppe Bandi che eloquentemente descrisse l’accoglienza ricevuta «come i cani in chiesa». Il libro di Bandi “I Mille”, oltre naturalmente a quello di Giulio Cesare Abba “Da Quarto al Volturno”, costituisce la principale fonte diretta delle storie garibaldine, ma c’è un piccolo particolare: fu pubblicato nel 1902, più di quarant’anni dopo i fatti e dopo la morte dello stesso autore che evidentemente in vita aveva preferito tenere per sé alcune riflessioni.