
Per essere rivoluzionari occorre rivoluzionare se stessi
Tre anni fa ho preso carta e penna (metaforicamente parlando) e ho scritto una delle mie invettive sulla politica per un giornale. Poi oggi, in una giornata di pioggia e di sciocchezze mediatiche, di paure e cattiveria, per caso ho ritrovato questi appunti. Come spesso accade, mi sono riletto i pensieri di qualche anno fa, prima che il voto consegnasse il paese allo strano e funzionale accordo tra populisti di destra e boh… Quando l’inimmaginabile prendeva forma e la fiera delle vanità mediatiche procedeva a ritmo di samba.
Non ho cambiato idea da quei giorni. Penso che la bruttezza nella quale siamo precipitati abbia costruito il suo monumento in un tempo lungo. Davanti agli occhi indifferenti, talvolta; più spesso con la complicità di chi gestisce ogni spazio, ogni potere per il proprio personalissimo interesse. Per un pizzico di carriera, per far finta di fare uno scoop, per cogliere in ogni aspetto della realtà un proprio vantaggio. Parlo anche del sistema mediatico. Ecco il testo.
Complessità. Questa è la parola chiave che potrebbe semplificare la politica. La realtà è complessa, non bastano le capacità di sintesi davanti alla telecamera o su twitter per affrontarla con capacità, per trovare contrappesi politici. Perché di questo si tratta, di fronte all’assalto devastante del neoliberismo e dei suoi meccanismi distruttivi, la politica ha smesso di svolgere il suo ruolo di compensazione sociale ed equilibrio. Ci ha lasciato in ostaggio senza alcuna protezione.
Si tratta di rifondare le basi. Di leggere le statistiche che mostrano impoverimento e vuoto di prospettive per tante fasce della popolazione. Si tratta di non farsi pagare le campagne elettorali dai padroni, da chi è interessato a mantenere un sistema infame di ingiustizie.
Populismo. Perché poi la risposta è quella che vediamo. Il populismo, la vendetta del meno protetto contro il personaggio famoso, contro chi con la scusa che la democrazia è questa cosa qui, vive in un mondo dorato e privo di problemi reali. La risposta a quel punto è che vadano nelle istituzioni personaggi improvvisati sulle ali della rabbia. E dimenticare le basi della democrazia e della costruzione della politica come azione collettiva che deve partire dai territori, dal fatto che non è modernità la cementificazione sempre e comunque a vantaggio dell’imprenditore che paga. Che la ricchezza, lo sfarzo e il successo a ogni costo non sono valori. Che il rappresentante politico non deve essere al servizio delle privatizzazioni, ma della collettività.
Cari direttori dei giornali che spiegate come va il mondo, il giorno dopo a bocce ferme. Fate una cosa rivoluzionaria. Prendete i mezzi pubblici, viaggiate con i pendolari, interrogatevi su come campano i laureati schiavizzati a 500 euro al mese, su come si vive nelle periferie disgregate, su chi vive il dramma della giustizia, dei meccanismi che stritolano i cittadini. Basta, per cortesia, seguire l’enfasi di campagne xenofobe perché legate al conformismo che sempre crea fascismo. Basta sicurezza (per alcuni) e decoro, repressione e salottini televisivi, che sono l’espressione pubblica dei salottini privati, di accordi e favori, di mediocrità che lentamente ha innervato il sistema informativo e politico.
A me rompe le scatole pensare che possa il populismo peggiore prendere il potere in qualunque sua declinazione. Ma la democrazia si salva e si sana rottamando questo metodo del salottino intelligente e ironico, del favore sommesso al potente, dell’accordo aum aum con lo schiavista perché lo schiavo sia mansueto. Dello scambio tra politica ed economia, tra finanza e media, tra giornali e politica in un intreccio che vede sempre e solamente gli stessi protagonisti, mossi amabilmente dagli stessi interessi.
Non facciamo finta che non sia così. Il primo passo per recuperare cultura democratica e senso della politica è spezzare queste connessioni nefaste per le istituzioni, per i media e di conseguenza per i cittadini. E non lo faranno quelli che si godono il vantaggio di questa rete di ingiustizie. Dovremo farlo noi, noi giornalisti, ingegneri, precari, studenti, insegnanti, operai, sfruttati di ogni categoria. Noi che rappresentiamo la classe che fa girare il sistema, quella dei lavoratori cognitivi che permettono alla macchina di ingiustizie e indifferenze di girare oliata. Dalla nostra sofferenza psichica, da quella dei nostri figli, di chi ha studiato perdendo le speranze, di chi non ne ha più, vivendo in territori mortificati dalla speculazione e dall’arricchimento di mafiosi di ogni genere e latitudine, che può venire un risveglio etico. Serve questo risveglio delle coscienze, attraverso la creatività, la bellezza e il senso critico, per invertire il processo, per togliere il terreno da sotto i piedi di chi continua a interrogarsi su come siano stupidi i cittadini. E mentre lo dicono ci calpestano metaforicamente. Sapendo o sperando che l’epoca della mediocrità al potere garantisce assuefazione, conformismo e prevedibilità della risposta.
Sovvertire queste sicurezze è il primo passo. Il secondo è riprenderci ciò che è nostro. E tocca a noi salvare il Paese dal nuovo fascismo che è alle porte.
Così concludevo. E la penso nello stesso modo. Ma nel frattempo ho cambiato vita. Per essere rivoluzionari occorre rivoluzionare se stessi, diceva Wittgenstein.