Ti scanno nel nome del mio Dio, barbarie moderne pre Sri Lanka

Nemmeno il pacifista Gandhi
riuscì a fermare l’odio

Ti scanno nel nome del mio Dio, barbarie moderne pre Sri Lanka
Il 15 agosto 1947, giornata dell’indipendenza dell’India, alle celebrazioni ed ai festeggiamenti in tutta la penisola indiana non era presente il principale artefice della fine del dominio coloniale: Gandhi infatti, che aveva dedicato gli ultimi trent’anni della sua vita alla lotta per l’indipendenza, preferì restare silenzioso in disparte, quasi nascosto, e non solo per modestia o riservatezza. Il Mahatma era preoccupatissimo – se non addirittura terrorizzato – per le modalità con cui si stava avverando il sogno dell’indipendenza; non si trattava solo della dolorosa spartizione del paese, e della vittoria di due nazionalismi (cioè indiano e pakistano), ma delle notizie delle estese violenze che si stavano verificando ovunque a causa del doppio esodo in corso. Il nord dell’India era attraversato da due correnti di profughi in direzione opposta: la popolazione indù convergeva verso il centro dell’India e quella musulmana cercava di raggiungere contemporaneamente le due parti del Pakistan ad oriente ed occidente. L’esodo stava coinvolgendo milioni e milioni di persone: la situazione era diventata drammatica al di là della peggiore immaginazione e l’accorato appello di Gandhi alla pace e alla riconciliazione tra le religioni praticamente cadde nel vuoto.

I popoli del Libro tutti figli di Abramo. Bibbia di Souvigny, XII secolo

Mezzo milione di vittime

Poiché i trasferimenti della popolazione si svolsero nella stragrande maggioranza a piedi, o su carri trainati da animali, era molto frequente che le colonne dei profughi si trovassero a percorrere le medesime strade in direzioni opposte. Se di giorno i movimenti sia pure caotici erano in qualche modo controllati, di notte al contrario si verificavano gli incidenti più gravi. Era sufficiente infatti che tra i profughi di un gruppo si diffondesse la notizia che dal bivacco vicino ‘gli altri’ volessero attaccarli, per scatenare il panico e provocare violente aggressioni su altri profughi altrettanto terrorizzati e in preda al panico. In queste condizioni persero la vita, a bastonate o con armi da taglio, oltre mezzo milione di persone, e si gettarono le basi per il successivo primo conflitto armato tra India e Pakistan. Sebbene si sia discusso molto sul ruolo svolto dalle rispettive religioni nello scatenare i massacri, l’aspetto oggi sottolineato con maggior frequenza è quello relativo al terrore diffuso tra i profughi per la presenza ‘degli altri’ che nella loro immaginazione intendevano depredarli e ucciderli. La religione dunque, in questa schematica ricostruzione, sarebbe intervenuta dopo, ma resta da aggiungere che nella fase della contrapposizione tra i due nazionalismi il fattore religioso fosse stato già utilizzato in maniera strumentale per dividere le due comunità.

Balcanizzazione delle religioni?

Il mondo occidentale dalla fine della Seconda guerra mondiale alla Caduta del muro ebbe a sua volta un proprio conflitto per certi aspetti paragonabile a quelli religiosi, solo che paradossalmente la paura di una guerra nucleare diede vita al cosiddetto ‘equilibrio del terrore’ e – seppure fermi per decenni sull’orlo del baratro – la guerra non si scatenò in Europa. Non fu affatto casuale che a conclusione della ‘guerra fredda’ una parte d’Europa piombasse nuovamente in un tragico conflitto dopo il 1945 e nei Balcani, in mezzo ad orrori indescrivibili, si riaffacciasse l’idea di un ruolo particolare svolto dalle diverse religioni per incitare alla violenza o semplicemente ad uccidere. Indubbiamente le convinzioni religiose non rimasero del tutto estranee agli eccidi, ma soprattutto in questo caso si deve ricordare che la situazione precedente era contraddistinta dal cosiddetto ‘indifferentismo’ religioso: il numero dei praticanti delle diverse fedi (ortodossa, cattolica e musulmana) era molto basso e all’interno delle diverse comunità rappresentava una netta minoranza. Eppure, nonostante ciò, le vittime si contarono a centinaia di migliaia ed apparve anche un altro aspetto: molti combattenti provenivano dall’esterno e ciò non avvenne solo per la componente musulmana di Bosnia, ma – benché sia meno noto – accorsero in seguito anche elementi slavi ultraortodossi da Russia e Bulgaria e cattolicissimi ustascia dall’Europa o dal Sudamerica.

Ruanda cattolico missionario

Spiegare invece in termini religiosi l’eccidio ruandese è impossibile, perché si combatté all’interno della stessa religione cattolica e non tra fedi diverse. L’amministrazione coloniale belga nel corso degli anni Trenta del XX secolo aveva infatti favorito la conversione in massa dei Tutsi soprattutto per ammodernare il paese, ma ben presto cambiò la fisionomia di tutta la chiesa cattolica ruandese e parte degli Hutu preferirono allora orientarsi verso le comunità protestanti più aperte alla questione sociale. Il primo documento ufficiale che prendeva atto di una divisione razziale e sociale tra Hutu e Tutsi in Ruanda risale al 1958 ed era maturato nel dibattito interno tra comunità religiose. Tra l’imbarazzo dei vertici ecclesiastici intervenne allora l’amministrazione coloniale che commise il primo degli errori che avrebbero condotto alla drammatica conclusione: nella convinzione che sostituendo i vertici Tutsi con personalità Hutu si potessero placare gli animi, si creò una prima profonda divisione tra le due comunità dando inizio alle tragiche incomprensioni, ma soprattutto riducendo le capacità di mediazione della chiesa. La tragedia ruandese dimostra che non esistono guerre ‘sante’, ovvero si combattono contro un ‘infedele’, ma nascono da una situazione precaria preesistente: lo hanno dimostrato più di un milione di vittime.

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