
Nel Golan rubato alla Siria, colonia ebraica di nome Trump
Una nuova colonia ebraica che sarà costruita sulle alture del Golan, territorio siriano sotto occupazione israeliana dal 1967, porterà il nome del presidente americano. Un ringraziamento all’Amministrazione Usa attuale per i molti doni ricevuti. La Casa Bianca che dal mese scorso considera il Golan parte integrante dello Stato ebraico. Prima ancora il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele. «Anche nel caso del Golan, Trump ha infranto la legalità internazionale -commenta amaro Michele Giorgio, Nena News, che da quella parti vive-. Senza dimenticare che il regalo del Golan la Casa Bianca l’ha fatto nel pieno della campagna elettorale israeliana dando una bella mano alla riconferma del premier di estrema destra e suo stretto alleato Benyamin Netanyahu».
Subito dopo la fine della Pasqua ebraica, Netanyahu chiederà al governo di approvare la costruzione del nuovo insediamento, una nuova colonia ebraica sul Golan dal nome “Trump”. «Israeliani profondamente commossi», esagera Netanyahu, che definisce ‘storica’ la unilaterale Usa di riconoscere la sovranità israeliana sulle Alture del Golan, contro tutto e contro tutti. Trump non il solo, ma sopra tutti. Più e meno dalla fine della seconda guerra mondiale, un decennio dopo, tutti i presidenti americani hanno fatto del sostegno a Israele il pilastro delle loro politiche in Medio oriente. Ma nessuno come Trump era arrivato a violare platealmente il diritto e le risoluzioni internazionali su questioni centrali come lo status di Gerusalemme e del Golan.
E la Casa Bianca -sempre Nena News- pare pronta a riconoscere anche l’annessione a Israele di gran parte della Cisgiordania palestinese sotto occupazione, annunciata da Netanyahu in campagna elettorale. Il cosiddetto ‘Accordo del secolo’, piano di pace Usa per il Medio oriente, che getta alle ortiche l’impegno trasversale della comunità internazionale su ‘Due popoli, due Stati’, e lascia a Israele il controllo di tutta la Palestina storica. Prevaricazione assoluta che conta su rapporti di forza attuali esasperati ma difficilmente riproducibili a lungo. La coincidenza delle due destre muscolari a Washington e Tel Aviv, e la debolezza assoluta del mondo palestinese frantumato tra la corruttela di AlFatha e l’estremismo di Hamas a Gaza.
Israele e Stati Uniti, sollecitati attualmente da spinte nazionalistiche di destra estrema. Ma Trump e Natanyahu non sono politicamente eterni. Anzi. Netanyahu vincente grazie all’aiutone di Trump sul Golan, ma con la spada di Damole sulla testa, per il procedimento di corruzione che lo attende. Il miliardario newyorkese che punta al secondo mandato ma la vittoria non è garantita. E gli avversari democratici guardano a Netanyahu con occhi molto diversi dai suoi. Esempio, il senatore Bernie Sanders, il temibile concorrente di Hillary Clinton alle passate primarie democratiche, qualche giorno fa ha definito “razzista” il premier israeliano. Sanders è ebreo. «Gli Stati Uniti devono fare i conti non solo con Israele ma anche con il popolo palestinese». Anche un altro aspirante candidato dem alla Casa Bianca, Beto O’Rourke, ha bollato come razzista l’imbarazzante Netanyahu.