Kim a Vladivostok da Putin contro le sanzioni Usa che restano
Strette di mano e parole di amicizia, come da copione, quelle che i due leader nel loro primo faccia a faccia a Vladivostok, l’estremità orientale della Russia che confina per un pezzetto con la stessa Corea del Nord. «Una discussione notevole» versione Putin raccontata da Filippo Santelli su Repubblica, «Uno scambio molto fruttuoso», secondo l’ospite Kim Jong-un, citato nel suo inconsueto ruolo militare di Maresciallo nordcoreano. «Incontro di due ore a porte chiusissime» è la battuta giornalistica, per dire del nulla trapelato.
Kim in Russia guardando ad occidente, due mesi dopo il fallimento del vertice di Hanoi con Donald Trump. Con Pyongyang che come spesso accade, lancia segnali contrastanti difficili da interpretare. Esempio, i nuovi test militari, ritorno al passato, e segnale opposto, il declassamento di Kim Yong-chol, ex militare ‘falco’ a cui era stata affidata la trattativa con l’America. Kim che spesso vuol stupire, ma che assieme usa gli strumenti comunicativi classici, il solo mostrarsi a fianco a Putin, a ricordare all’interlocutore di Washington che non c’è solo lui al mondo.
Kim Jong-un, dopo Vladivostok proseguirà, sempre su strada ferrata, per Pechino dove parteciperà il 26-27 alla conferenza sulla One belt One road, l’ormai famosa via della seta. L’incontro è stato per lungo tempo, per ragioni di sicurezza, tenuto segreto ma l’atterraggio della sorella di Kim Yo-jong a Vladivostok due giorni fa per curare dettagli e protocollo, hanno reso inutili tutte le precauzioni adottate. Programma degli incontri «classico», con la partecipazione del ministro degli esteri Lavrov, ma anche del ministero dei trasporti Dietrich, per affari importanti in corso.
L’interscambio commerciale tra i due paesi è attualmente poca cosa. «Soli 34 milioni di dollari» a causa delle sanzioni Usa a colpire doppio. Ma si sta lavorando per una svolta. Esempio, collegare la transiberiana a una ferrovia inter-coreana, creando una via più rapida per il trasporto merci in Europa. Condizione essenziale, la stabilizzazione politica nella regione, per una «pipeline della pace», un gasdotto in Corea del Sud attraverso il territorio del Nord che porti a Seul gas a prezzi convenienti e risolva il problema dell’alimentazione elettrica della Repubblica popolare.
Per il presidente russo, l’occasione per affermare un ruolo nel dossier coreano, con messaggio a doppio indirizzo, Washington Pechino. Russia mediatrice necessaria, dice Putin, che nella conferenza stampa personale dopo l’incontro ha sostenuto che per smantellare il suo arsenale la Corea del Nord «ha ‘bisogno di garanzie’, e che queste devono essere a livello ‘multilaterale’». Insomma, dove credete di andare senza di noi, messaggio orizzontale, compreso l’ospite. Le cosiddette trattative a sei con Pyongyang, interrotte senza risultati nel 2009.
Una consonanza di interessi regolata dalla prudenza. Sulla carta, la Russia è uno degli storici alleati di Pyongyang insieme alla Cina. Sulla carta, Mosca come la Cina, appoggia la richiesta di Kim Jong-une di un processo di denuclearizzazione «a scalare», un po’ meno nucleare, un po’ meno sanzioni e più soldi. Mercato insomma, dare avere. Gli Stati Uniti però insistono per una denuclearizzazione preventiva e irreversibile. Difficile a questo punto che Putin conceda aperture unilaterali, che oltre a Washington rischierebbero di irritare anche Pechino.
Offerte ‘pronta consegna’ da parte di Mosca al vicino in forti difficoltà economiche? «Intensificare i rifornimenti di cibo o carburante alla Corea del Nord, muovendosi nella zona grigia delle sanzioni – ipotizza Santelli-. E non espellere i circa 10mila nordcoreani che lavorano sul territorio russo, preziosissima fonte di valuta straniera per il regime, come invece imporrebbero le sanzioni entro la fine dell’anno». Questo e altro per permettere al Cremlino di recuperare voce in capitolo nel futuro della penisola coreana, sempre e ovviamente Washington e Pechino permettendo.