Guerra Usa all’Iran, ricatto sanzioni, petrolio alle stelle e pasticci italiani

Sanzioni di guerra
padroni del mondo

Guerra Usa all’Iran, ricatto sanzioni, petrolio alle stelle e pasticci italiani
Padroni del mondo. Soli in occidente a rompere l’accordo sul nucleare con l’Iran, il ricatto della amministrazione Trump al resto del mondo. Washington annuncia che dal 2 maggio gli Usa non rinnoveranno le esenzioni di 180 giorni concesse ad otto paesi, tra cui l’Italia, per la cessazione delle importazioni di petrolio dall’Iran. Gli otto paesi oltre all’Italia sono Cina, Turchia, India, Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Grecia. Gli Usa minacciano sanzioni nei confronti di chi non seguirà il diktat. L’obiettivo degli Usa è di azzerare le esportazioni di petrolio iraniano per privare di risorse Teheran considerato il nemico nel Medio Oriente.
Tehran, in risposta minaccia di chiudere lo Stretto di Hormuz per il quale transita quasi un terzo di tutto il greggio trasportato via mare. Alireza Tangsiri, comandante della Marina delle Guardie della rivoluzione. «Lo Stretto di Hormuz è una rotta di navigazione internazionale e se ci verrà vietato di usarla (per trasportare il nostro petrolio, ndr), la chiuderemo», ha ammonito Tangsiri. Se ci saranno minacce, ha aggiunto, «non avremo altra scelta che difendere le nostre acque».

Di blocco in blocco
verso la guerra?

L’Italia, nonostante i tradimenti Usa sulla Libia, ha già obbedito al diktat di Trump. Cina, India, Turchia, Giappone e Corea del Sud non hanno invece cessato le importazioni. Pechino, che acquista dall’Iran circa la metà del suo fabbisogno di greggio, afferma che «proteggerà i suoi legittimi diritti». Un secco no giunge anche dalla Turchia. Il ministro degli esteri Cavusoglu ha avvertito che la decisione di Washington «non servirà alla pace ed alla stabilità regionale, oltre a danneggiare i cittadini iraniani».
La minacciata chiusura di Hormuz da parte iraniana è risposta estrema. L’occasione forse cercata da Washington e dai suoi principali alleati in Medio oriente, Israele e Arabia saudita. Possibile pretesto per una offensiva militare contro la Repubblica islamica. Ma anche un Iran soffocato dalle sanzioni Usa potrebbe cercare nello scontro militare per azzerare tensioni interne segnate dalla crisi economica da sanzioni. E l’ayatollah Ali Khamenei, la guida suprema iraniana -segnala Michele Giorgio, Nena News- ha nominato Hossein Salami, noto fautore della linea dura, nuovo capo dei Guardiani della rivoluzione.

Prezzo del petrolio boom
chi guadagna e chi paga

L’impennata di tensione ha inciso subito sul prezzo del petrolio, segnala allarmato il Sole24ore. Nonostante Arabia saudita e, a sorpresa, l’Iraq alleato di Tehran, si siano detti pronti a colmare la differenza nel flusso del greggio dopo l’azzeramento delle esportazioni iraniane. Gli amici si vedono nel momento del bisogno, e sopratutto i nemici. Trump, che sostiene di voler impedire che l’Iran produca armi nucleari e cessi il suo programma missilistico, lancia l’ennesimo attacco a John Kerry, segretario di stato tra i protagonisti principali della firma dell’accordo sul nucleare con l’Iran. Festeggia invece Benyamin Netanyahu, alle prese con la formazione del suo nuovo governo.
E Roma? «Il nostro governo (o una parte di esso), piuttosto isolato in Europa, preferisce inchinarsi a Trump ottenendo in cambio la beffa della “cabina di regia” in Libia che alla fine si riduce ad una sorta di lettera di licenziamento per Sarraj. Altro che sovranisti!», censura severo Alberto Negri dal Manifesto.

Sovranismi alternati
in conto e contro chi?

Le sanzioni, imposte dopo che Trump ha abbandonato l’accordo sul nucleare del 2015, stanno soffocando Teheran e l’export per ben due miliardi di dollari l’anno di cui l’Italia era il primo partner europeo. E grazie ad Alberto Negri e all’ambasciatore dell’Iran in Italia, Hamid Bayat, scopriamo che l’esenzione Usa per il petrolio iraniano a Roma non era all’Italia ma all’Eni, che negli ultimi sei mesi non ha comprato neppure una goccia di greggio iraniano.
Leccaculismo e basta? No. Danno indotto anche ad altre imprese italiane. «Con le vendite all’Eni gli iraniani avrebbero comunque potuto costituire un fondo in Italia da utilizzare per le importazioni, soprattutto di piccole e medie imprese. Insomma potevamo aggirare in maniera legale le sanzioni ma ci siamo dati la zappa sui piedi». L’Eni, attiva in Iran dagli anni Cinquanta con Mattei, ha ceduto a un mix di pressioni e promesse americane.

Vecchi accordi per
governanti distratti

Ci stiamo facendo male da soli, perdendo commesse a raffica. Nel 2015 il presidente Rohani a Roma firmava un memorandum d’intesa da 27 miliardi di euro. Col nuovo governo giallo-verde, luglio 2018, la Camera di commercio italo-iraniana presenta un piano per costituire una banca locale italiana (una tra le tante malconce), dedicata soltanto agli scambi con Teheran. Perché una piccola banca che non lavora sul mercato statunitense avrebbe potuto ignorare l’embargo americano. Poi problemi interni, questo tra i meno noti, tra i due partiti della coalizione, chi più filo Israelo-Usa, e chi un po’ meno.
Altra carta per riprendere gli affari con l’Iran non ancora giocata (sempre Negri). Francia, Gran Bretagna e Germania inventano Instex (Instrument in support of trade exchanges) per aggirare le sanzioni Usa. «Strumento in linea con le posizioni europee, ma che non piace alla Lega e forse neppure al ministro degli Esteri Moavero che non ha ancora dato il via libera. Moavero in febbraio era a Varsavia per una riunione anti-Iran convocata dagli Usa dove non erano presentati in segno di disaccordo i ministri francese tedesco ma non trova il tempo di aderire all’Instex».

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