Bernardina che leggeva l’Unità (e tanti libri)

Ci sfuggono tante cose, anche nell’abitare più poetico, anche quando ci sembra che l’attenzione sia alta e la cura per gli altri sia grande. Dettagli minimi, delicate sfumature che vanno a costituire quel sottile modo di stare al mondo, ci appaiono come segni ai quali dare un senso. E prima ancora come ombre passeggere, nuvole distratte che si poggiano sul “non importa”, su quel macigno che portiamo sulle spalle e che ci ricorda a ogni passo che ci sono cose più importanti da fare.
Scalfire il macigno è una prima forma sovversiva. Dimenticare il non importa anche. Basta un sorriso, un silenzio degli sguardi che costruisce rapporto, una mano, una parola, quando questa parola non ha ragion d’essere, quando il buon senso ci spinge a tacere e il tempo ci invita ad andare oltre.

Oggi racconto di questo dono che non mi è sfuggito. L’inciampo delicato con un sorriso che mi ha fatto ripercorrere il tempo, spalancandomi un mondo.

Bernardina la porto nel cuore. Dalla prima volta che l’ho vista risalire via Dante Alighieri, lentamente, con la sua borsettina sotto braccio, con l’andare dei suoi novanta anni e lo sguardo bello, dritto negli occhi. Sola, nel vento, con la pioggia o il sole, percorreva i suoi passi per attraversare San Quirico d’Orcia.
Era piccolina, Bernardina. L’ho salutata la prima volta camminando in una deriva del cuore, lei restò sorpresa. Disse buongiorno e andò per la sua strada. Continuai a salutarla.
Poi un giorno si è fermata davanti alla vetrina della libreria. Ah, lei sta qui, mi ha detto. Guardò i libri con attenzione, poi: ho letto tutto, ma questo no. Dal banco tirò su Crimini dell’amore del marchese De Sade. Ne fui felice, sorpreso a dire il vero. Lo comprò. Tirò fuori dalla borsetta il borsellino grande che usavano le nostre nonne. Le banconote ripiegate con precisione.
Era estate, agosto. L’aria era calda, le serate belle e piene di dolcezza, c’erano ai nostri tavoli le musiciste di Paesaggi musicali. Nei colori di San Quirico d’Orcia, tra pellegrini, santi, camminatori, sbandieratori, suonatori di tamburi e viandanti sorridenti, Bernardina camminava con una sua leggiadria. Il volto dai tratti antichi, lo sguardo dritto come una spada.

Qualche tempo dopo entrò nella libreria. Fuori pioveva e la vetrina era chiusa. Aprì il borsellino e tirò fuori un pizzino, con sopra appuntato il titolo di un libro: l’ho sentito nominare alla radio, vorrei leggerlo… Così è andata: veniva, facevamo due chiacchiere, mi raccontava de l’Unità: era l’unico giornale che leggeva ogni giorno, mi diceva fiera. Poi scoprì che un tempo io ci lavoravo, che scrivevo sul suo giornale. Ti avrò letto, allora. Certo, chissà. Mi manca l’Unità.

Erano spettacolari i suoi sorrisi. Quando la vedevo salire da lontano le dicevo: bella! E lei, gentile e dolce, si schermiva. E proseguiva la sua passeggiata lenta e solitaria, nel vento. La lettrice dell’Unità che tutti avremmo dovuto incontrare, prima di gettare alle ortiche una storia, un patrimonio, un luogo di democrazia con tanta sufficienza e incoscienza. A lei mancava, e lo ricordava con affetto. Lei era una donna vera, non un numero, un’ipotesi azzardata, un cambio di colore della testata di un direttore tanto per fare una cosa diversa, un fenomeno di apparato di partito, un intellettuale della resa incondizionata.

Nel frattempo la stagione era cambiata. Era freddo. Con l’ultimo pizzino mi chiedeva un libro di Andrea Vitali: Premiata ditta sorelle Ficcadenti. L’ho ordinato, cercando un’edizione particolare, per lei. Non passava e gliel’ho mandato a casa tramite un’amica comune. Così ho saputo che era stata male. Che era in ospedale. Ho sperato tanto di vederla riapparire col suo passo leggero e lentissimo. Avrei voluto dirle che la nostra generazione avrebbe dovuto fare di più, si sarebbe dovuta battere non per le qualifiche o per la carriera, ma per difendere la democrazia dall’assalto mellifluo di un sistema di potere che piano piano la sta prosciugando. Contro il populismo dell’ignoranza che ci mette con le spalle al muro, ci impedisce di pensare oltre l’inutilità.

Non la vedrò più spuntare dalla vetrata della libreria. Niente pizzini gialli con i titoli scritti con la sua grafia meravigliosa fuori dal tempo. La porto nel cuore, Bernardina che leggeva l’Unità e che leggeva tanti tanti libri a dispetto di chi pensa che sia inutile, che l’ignoranza sia un vantaggio. Già, sicuramente l’ignoranza è un vantaggio. Basta capire per chi… Non per noi di sicuro.

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