
Pericoli veri. La firma del “Memorandum of understanding” con la Repubblica Popolare Cinese ha innescato, com’era del resto lecito attendersi, molte reazioni in ambito non solo nazionale. Essendo finora l’unico Paese del G7 ad aver compiuto tale passo, siamo stati per qualche giorno al centro del dibattito internazionale e molti, da noi, hanno manifestato disaccordo condividendo le critiche espresse dagli alleati europei e americani.
Tuttavia, su tale disaccordo, è anche lecito avanzare dubbi. Prendiamo per esempio Matteo Salvini. Tutti rammentano il viaggio a Pyongyang e le sue impressioni favorevoli sulla Corea del Nord, definita una sorta di “Svizzera asiatica”. In tempi recenti il segretario della Lega ha espresso opinioni favorevoli sulla stessa Repubblica Popolare e sulla Russia, indossando a più riprese la maglietta di Putin.
Il fatto che solo ora si accorga che in Cina non c’è il libero mercato lascia quindi un po’ perplessi. E’ forte il sospetto che Salvini e Di Maio stiano in realtà facendo il gioco delle parti. In questo momento al M5S tocca il ruolo del partito (o movimento) che promuove l’interesse nazionale. A Salvini quello di rassicurare Europa e Usa circa la sostanziale fedeltà italiana alle tradizionali alleanze.
E’ comunque importante chiedersi se la firma degli accordi comporti davvero i pericoli paventati da Bruxelles e Washington e, anche in questo caso, i dubbi sono più che leciti. L’Unione Europea dice che la Cina è “un rivale strategico”, ragion per cui i rapporti con essa vanno gestiti collettivamente. Ma è davvero così?
Chi parla, innanzitutto, a nome della Ue? L’affermazione precedente indurrebbe a credere che l’Unione ha una sua strategia ben delineata, mediante cui Bruxelles fa una propria politica estera al di sopra delle parti e senza privilegiare alcun membro rispetto agli altri.
Invece sappiamo che la linea è decisa, quasi sempre congiuntamente, da Parigi e da Berlino (con i suoi alleati nordeuropei). E, infatti, Merkel e Macron hanno convocato in fretta e furia un vertice con Xi Jinping a Parigi giusto per far vedere chi comanda sul serio a Bruxelles. E probabilmente anche per evitare che la firma di cui sopra favorisca troppo gli interessi italiani a Pechino.
Ulteriori dubbi sorgono a proposito delle reazioni Usa, in particolare per quanto riguarda la cooperazione nelle reti 5G. Si afferma a Washington che gli accordi con Huawei metterebbero nelle mani delle forze armate cinesi i dati sensibili che vengono poi utilizzati anche dall’intelligence. Ma pure qui è forte il sospetto che la reazione si debba piuttosto al proposito di tutelare i colossi americani, che hanno per decenni goduto di una posizione di monopolio sul mercato.
Infine la questione dei diritti umani, sulla quale ha molto insistito il nostro Presidente della Repubblica. La Cina non è certamente una democrazia liberale, ed è verissimo che ha conservato il monopartitismo marxista-leninista, il quale impedisce la libera competizione elettorale tra più partiti. Ma è pure opportuno rammentare che, in Asia, non si tratta di un caso unico.
Adottando una certa interpretazione del confucianesimo, si adotta una “via asiatica ai diritti umani”, basata sul primato degli interessi della collettività e dello Stato rispetto a quelli dei singoli individui. Ne consegue che il modello occidentale ha potere di attrazione, ma non è universalmente diffuso e desiderato da tutti.
Di tutti questi elementi occorre tener conto quando si parla di rapporti con la Cina. Senza dubbio la firma degli accordi costituisce per l’Italia una notevole occasione di crescita e di espansione nel mercato più vasto del mondo. Si tratta di un’occasione da non perdere, anche perché il rischio vero è che gli spazi vengano occupati da altri, difensori dei diritti umani solo sul piano teorico.