
Tre mesi di bombardamenti aerei dell’Alleanza atlantica, sulla Jugoslavia di Slobodan Milosevic. Alcune migliaia di vittime, soprattutto civili, per migliaia di tonnellate di bombe. Non accedeva in Europa da 54 anni, dalla fine della seconda guerra mondiale.
Fermare la dura repressione serba nei confronti della popolazione albanese del Kosovo, la motivazione ufficiale della discussa decisione. Mettere con le spalle al muro il regime dispotico ed isolazionista della Serbia di Milosevic, l’obiettivo politico più vasto, con qualche interesse di singoli Stati europei attorno.
Eppure Milosevic era stato sino a pochi anni prima, 1995, nell’occasione della pace di Dayton che mise fine al macello Bosnia, un protagonista molto considerato della scena internazionale.
Quattro anni dopo, nel pieno della crisi Kosovo, “President Milosevic” diventa il cattivo assoluto contro cui scatenare l’esercito più potente mai esistito al mondo.
E’ stata una notte di guerra, annunciata con puntualità burocratica alle venti precise. “Sono stato informato dal comandante militare supremo in Europa, il generale Wesley Clark, che in questo momento sono iniziate le operazioni aeree della Nato contro obiettivi nella Repubblica federale jugoslava”, ha detto il segretario generale Javier Solana. La grande macchina militare alleata si è messa in moto con tutta la sua forza missilistica e aerea nelle prime ore di oscurità.
I cacciabombardieri sono decollati a ondate successive dalle basi in Italia, mentre le navi Usa in Adriatico e i B-52, altissimi nel cielo, hanno lanciato le salve di “Tomahawk” con i computer programmati per raggiungere i loro obiettivi. È stata questione di attimi e dalle maggiori città serbe sono cominciate a giungere le notizie delle esplosioni. Pristina, Belgrado, Novi Sad sono state colpite. Subito il capoluogo del Kosovo è piombato nel buio e nella paura.
Per ore il cielo di Pristina è stato illuminato dai bagliori e solcato dalle raffiche della contraerea. Scopo del primo attacco missilistico: neutralizzare le difese aeree jugoslave, e cioè i sistemi radar, le postazioni contraeree e le centrali di telecomunicazioni militari, aprendo così la strada ai cacciabombardieri. Per questo gran parte degli obiettivi si trova accanto o negli aeroporti.
A distanza di minuti l’uno dall’altro sono stati colpiti quello di Pristina, in località Slatina, quello di Belgrado e quello di Golubovac, vicino alla capitale montenegrina Podgorica. Subito dopo è stata la volta di importanti strutture del complesso militar-industriale serbo. Bagliori e boati hanno travolto la fabbrica di automobili e di armamenti Zastava a Kragujevac, lo stabilimento aeronautico Utva di Pancevo e la base di Batajnica, vicino a Belgrado. Poco dopo le 21 una voce concitata ha descritto a Radio Pancevo il grande incendio che si stava alzando sopra i capannoni della fabbrica.
La vastità di questo primo raid è stata confermata anche dalle fonti militari serbe, secondo le quali il “barbaro attacco dell’aggressore Nato” ha colpito sette città, tra le quali anche Kursumlija, Uzice e Danilovgrad. “I sistemi della difesa aerea”, proseguiva il cupo comunicato jugoslavo, “hanno individuato per tempo i proiettili aggressori e hanno agito con efficacia. Non sono stati danneggiati e restano nelle loro posizioni di combattimento, pronti a operare”.
Più tardi le bombe sono cadute anche su Sombor e Nis. Qualche minuto dopo le 22 la radio di Stato di Belgrado ha dato notizia dell’abbattimento di un caccia Nato, ma manca la conferma ufficiale dell’Alleanza. Dalle centrali operative delle portaerei americane in Adriatico, invece, si è saputo che è stato colpito un Mig-29 serbo, mentre la sorte di altri tre aerei rimane incerta. L’agenzia jugoslava Tanjug ha affermato che ci sono stati dei morti, “donne e bambini”, senza fornire un bilancio. Le radio locali montenegrine hanno parlato di un soldato ucciso e tre feriti.
È stato un attacco lungo, massiccio, che ha impegnato centinaia di aerei sui cieli dei Balcani. L’ottantina di cacciabombardieri partiti da Aviano e dalle altre basi Nato in Italia hanno fatto rifornimento in volo e hanno cominciato a rientrare intorno alle ventidue e trenta. Tutto l’arsenale aereo dell’Alleanza ha partecipato alla missione: i bombardieri invisibili A-117, gli A-10 da attacco al suolo, gli F-15, gli F- 16, i Tornado italiani e tedeschi, gli Harrier britannici, i Mirage e i Super-Etendard francesi, gli F-18 spagnoli, caccia portoghesi e canadesi, olandesi e belgi. Gli italiani, in particolare, hanno partecipato all’azione contro l’aeroporto di Pristina.
Il grosso della forza offensiva è venuto dalla U.S. Air Force e dalla U.S. Navy. Non soltanto le portaerei, le navi lanciamissili e i B-52. Nella prima ondata dell’ operazione Deliberate Force c’erano anche due superbombardieri B-2, che non erano mai stati usati in combattimento, nemmeno nei cieli dell’Iraq. Sono aerei dall’aspetto di neri boomerang. Praticamente invisibili ai radar, che valgono oltre due miliardi di dollari l’uno. I B-2 hanno sganciato bombe da 900 chili a guida satellitare, ordigni capaci di devastare strutture anche robustissime, come posti di comando sotterranei.
L’operazione “Determined Force” dispone di 400 aerei. In Macedonia sono poi dislocati circa 11 mila militari Onu, ma secondo la Nato, per la pace in Kosovo sarebbe necessario l’intervento di almeno 200 mila uomini.
LO SCHIERAMENTO NATO
LA FEDERAZIONE JUGOSLAVA
LE FORZE KOSOVARE UCK
Poco più di un anno prima l’Esercito di liberazione disponeva di un gruppo di un centinaio di combattenti. Dopo i combattimenti nella Drenica di febbraio dell’anno precedente, l’Uck è diventata una organizzazione clandestina con una solida struttura militare. Il piccolo esercito potrebbe contare dai 15 ai 30 mila uomini, dotati di armi leggere ma anche di qualche pezzo di artiglieria e di lanciarazzi.