Corea, si muovono i missili di Kim? Minaccia e mercato

Corea, ritorno al punto di partenza?

Ci risiamo. Nel grande gioco dell’oca coreano, la paperella (forse) torna al punto di partenza. Ed è di nuovo emergenza diplomatica e strategica. Nei pensatoi dei servizi segreti americani, in quelli di Seul e nelle agenzie per la sicurezza nipponiche si sono accese tutte le lampadine rosse: Kim Jong-Un, il “Leader Supremo” dei comunisti del Nord, indispettito per il fallimento del vertice di Hanoi con Trump, avrebbe dato ordine di risuscitare il sito missilistico di Sanung-dong, vicino Pyongyang. La notizia è stata data dal South Korea Times e rilanciata dall’americana CNN e dalla britannica BBC, che ne ha fatto il pezzo di apertura. Per la verità, il sospetto che Kim giocasse con due mazzi di carte c’è sempre stato tra gli analisti che si occupano di studi strategici. Ma si pensava che l’idillio con Trump fosse ormai talmente consolidato (per reciproci interessi) da rendere improbabile un giro di valzer.

‘Hwasong-15’ intercontinentale

E invece, dietro il faccione sorridente di Kim, ripreso dalle foto ufficiali durante il pranzo di gala con Trump, in Vietnam, evidentemente si celava il desiderio di tornare alla vecchia filosofia del “pizzo”: o paghi o ti brucio la saracinesca. Detto fatto. Mentre i sudcoreani monitoravano il via-vai di camion dal sito di produzione del vettore balistico intercontinentale “Hwasong-15”, gli altrettanto preoccupatissimi specialisti del Pentagono passavano al microscopio le foto satellitari di Dongchang-ri, luogo dove vengono testati i missili. E che doveva già essere stato smantellato. La sentenza sembra inappellabile: Kim è stato pescato di nuovo con le dita nel vaso della marmellata e presto potrebbe nuovamente stupire il mondo (si fa per dire) lanciando a casaccio uno dei suoi gingilli nel Pacifico. Magari facendolo passare ancora sopra le teste dei sempre più atterriti giapponesi, che di Pyongyang non si sono mai fidati.

Sindrome (anche) cinese

Comunque, a dirla tutta, la puzza di bruciato arriva lontano, fino a Pechino. Il voltafaccia di Kim potrebbe essere stato dettato dai cinesi, veri sceneggiatori del copione coreano e che utilizzano il “babau” nucleare del Nord come arma di ricatto da far valere su più tavoli. A cominciare dal mortale confronto sui dazi doganali con gli americani. Il nostro vecchio pallino, quello delle crisi regionali che si saldano e diventano “macro-aree”, dando vita a conflitti globali, viene così sostanzialmente ribadito. Gratta gratta, sotto la vernice dei problemi di sicurezza (che ci sono) spunta ancora una volta il verde. Il colore dei dollari. Lo ribadisce anche il “Korea Times”, riprendendo e analizzando l’appello che il leader del Nord ha lanciato nei giorni scorsi attraverso la KCNA (Korean Central News Agency) e il “Rodong Sinmun”, l’organo ufficiale del Partito comunista.

Economia socialista non cinese

Kim vuole che il Paese s’impegni di più “per la costruzione di una grande economia socialista” che, evidentemente, cammina a scartamento ridotto. Secondo diversi think-tank americani, tra cui il prestigioso “Stratfor”, alla base delle ansie finanziarie di Kim ci sarebbe proprio il fallimento del vertice di Hanoi, dove Trump si sarebbe impuntato sullo scabroso tema delle sanzioni economiche. In sostanza, il Presidente americano avrebbe rifiutato di eliminarle o, quantomeno di attenuarle, in mancanza di precisi impegni da parte dei nordcoreani. Sospettati di perdere solo tempo e di allungare il brodo, per alzare il prezzo delle loro concessioni. Però la Casa Bianca, probabilmente, non si aspettava che l’ombroso Kim sarebbe ripartito al contrattacco, così la temperatura diplomatica è rapidamente salita. Almeno a sentire il tono delle dichiarazioni.

Teatro di mercato?

Trump ha prima detto che sarebbe stato “un po’ sorpreso” se Kim si fosse rimangiato la parola data. Venerdì ha però aggiunto, con toni cupi, che sarebbe stato “molto sorpreso”, facendo capire che le informazioni ricevute dai suoi servizi segreti gli avevano messo più di una pulce nell’orecchio. In effetti, la situazione resta fluida. Il Center for Strategic and International Studies parla di “una rapida ricostruzione dei siti di lancio” dopo il meeting di Hanoi. Un altro autorevole esperto, Joel Wit, già adviser di Bill Clinton, però frena: Kim è chiaramente impaziente e deluso dalla piega che hanno preso i negoziati. Ma ancora non si capisce bene cosa voglia fare. A scanso di equivoci, tanto per non sbagliare, il portavoce del Dipartimento di Stato, Robert Palladino, ha dichiarato che gli Stati Uniti “sono sempre pronti a riprendere nuovi negoziati”. Insomma, un film già visto.

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