Cermis e regole Nato, immunità o impunità?

Ripartiamo dal Cermis
giurisdizione, immunità o impunità?

Cermis e regole Nato
Tutti i dettagli della vicenda del Cermis sono ormai noti a distanza di più vent’anni dall’accaduto, ma la loro acquisizione è stata lenta, frutto di una ricerca lunga e soprattutto ostacolata fin dalle prime ore. Primo tentativo maldestro, tra il grottesco e il puerile, fu quello di addossare la causa dell’accaduto alla stessa funivia, dove si era già verificato un incidente nel 1976 che era costato la vita a quarantadue persone. Fu la decisione fulminea di un procuratore a far sequestrare l’aereo nella base di Aviano, scoprendo che frammenti del cavo erano ancora incastrati nella fusoliera e si potevano osservare danni evidenti sul resto del velivolo. Richiesta di processare i responsabili in Italia, bloccata dagli accordi Nato, Convenzione di Londra del 1951: «poteri di giurisdizione penale o disciplinare» sui militari Nato mai uno Stato diverso da quello di appartenenza. Solo processi in casa. E in casa americana il pilota Richard J. Ashby e il navigatore Joseph Schweitzer, accusati di omicidio colposo e negligenza furono dichiarati innocenti, sentenza vergognosa ma inappellabile. Indignazione europea e un secondo processo per ‘false dichiarazioni’. Colpevoli di poca cosa, sei mesi formali di carcere e 19 settimane reali in cella per quei 20 morti e la radiazione dalle forze armate, disonorate più dalla Corte marziale che da quei piloti d’avventura, assassini per bullismo.

Sgradevoli precedenti

Non si trattava della prima volta in cui militari Usa all’estero si trovavano coinvolti in episodi molto imbarazzanti: nel 1995 alcuni soldati della guarnigione di Okinawa erano stati accusati di violenza sessuale nei confronti di cittadine giapponesi anche giovanissime. In realtà, secondo fonti nipponiche, dal 1972 al 1995 si erano verificati centinaia di casi, nessuno dei quali aveva avuto come esito un processo in Giappone. Motivo, la stessa clausola del trattato nato che sottraeva alla giustizia del luogo, esplicitamente i militari americani. La legge del vincitore. Questione politica evidente anche allora. Le nuove accuse di violenze sessuali creavano tensioni ulteriori nei difficili rapporti tra i giapponesi (che ricordavano altri atti di violenza nel dopoguerra), e la guarnigione americana di oltre ventimila uomini risultava spesso talmente turbolenta da rendere necessario il periodico divieto del consumo di bevande alcoliche. La soluzione individuata in questa grave situazione fu quella di spostare la guarnigione su un’isola diversa. L’equivalente della mini condanna al pilota assassino, assolti per la strage e condannato a una presa in giro di carcere per il disdoro arrecato alle forze armate americane.

America e le corti internazionali

L’immagine che si produsse sull’opinione pubblica americana dopo il Cermis non fu tanto quella della giurisdizione riservata, a tutela dei propri cittadini, ma piuttosto quella dell’impunità. Nel 1998 a Roma fu convocata dalle Nazioni Unite una riunione sul progetto di un tribunale penale internazionale. Fu redatto uno statuto ed approvato dall’assemblea a larga maggioranza, ma gli Stati Uniti si rifiutarono di aderire sostenendo proprio che il loro ruolo nel mondo li rendeva ‘vulnerabili’. Erano gli anni cui le forze armate americane avevano assunto il ruolo del ‘gendarme del mondo’ e cominciavano ad emergere comportamenti molto discutibili. Nel 1993 un funzionario del Dipartimento di Stato ottenne da numerosi paesi l’assicurazione che, in caso di incriminazione di cittadini americani, non li avrebbero estradati. Recentemente lo stesso funzionario, John Bolton, chiamato da Trump alla Casa Bianca, ha espresso nei toni di una violenta filippica tutta la
contrarietà americana a collaborare con un’istituzione ritenuta partigiana, mal gestita e inefficiente: il tribunale penale internazionale, secondo gli Usa, dovrebbe addirittura essere soppresso.

Il rapporto secretato

Ma torniamo al Cermis, con una rivelazione. La svolta che chiarì i misteri della vicenda avvenne solo nel luglio 2011, quando il quotidiano «La Stampa» pubblicò il primo rapporto sull’incidente redatto e sottoscritto dal generale americano Pace coadiuvato dai colonnelli italiani Durigon e Missarino. Per inciso il quotidiano aveva ottenuto il rapporto in maniera regolare e in perfetto accordo con le leggi federali. Senza usare mezzi termini era scritto che «La causa di questa tragedia è che l’equipaggio dei marines volava molto più basso di quanto autorizzato. Raccomando che vengano presi i provvedimenti disciplinari e amministrativi appropriati nei confronti dell’equipaggio, e dei comandanti, che non hanno identificato e diffuso le informazioni relative ai voli di addestramento». Risultava quindi chiaro già nella primavera del 1998 che non solo il comportamento dell’equipaggio (al completo) era suscettibile di pesanti censure, ma anche i superiori comandi non avevano vigilato sulla corretta esecuzione degli ordini e delle istruzioni sulle attività addestrative. Solo nel 2012, intervistato negli Stati Uniti, Joseph Schweitzer ammise tutte le proprie responsabilità. Finale con notizie nostre: nessun ufficiale complice nella catena di comando punito, tutti promossi.

 

AVEVAMO DETTO

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