Per chi già pregustava il sogno di un nobel per la pace, molto amaro in bocca. Trump che se ne va da Hanoi senza dichiarazioni avendo già pronti tweet e frasi roboanti per annunciare la sua gloria al mondo. Non ci sarà la ‘Pace di Hanoi’, e i guai veri aspettano il presidente a casa, con le accuse infamanti da parte di quello che è stato il suo più stretto collaboratore negli ultimi dieci anni, l’avvocato e faccendiere Michael Cohen.
Ma andiamo in Corea: Trump ha chiarito che agli Usa non interessa soltanto il sito di Yongbyon, ma altre zone dove i satelliti dicono che il nucleare coreano ancora cammina, ma Kim non sembra ancora pronto a rinunciare alla sua assicurazione sulla vita. Di fronte a Kim un interlocutore avversario con più problemi di lui, costretto politicamente a vincere tutto o niente. Solo lascito positivo, la sospensione delle esercitazioni Usa con la Corea del Sud, ‘troppo costose’, la scusa.
«Il fallimento del vertice vietnamita, tutto sommato, finisce per fornire ancora spazio diplomatico a Kim», osserva Simone Pieranni sul Manifesto. A livello interno rassicura i militari, a livello internazionale mantiene la disponibilità della Corea a trattare ma a precise condizioni, e questo vale anche per Cina e Corea del Sud. Osservatori attenti guardano ora ai dettagli, esempio la scelta di Hanoi per il vertice. Un Vietnam che con la Cina ha rapporti abbastanza critici per le isole contese nel mar cinese meridionale, ed è commercialmente amico degli Stati Uniti. Piccolo sgarro al grande protettore nordcoreano Pechino?
Il Vietnam di oggi che diventa modello politico economico per la Corea del nord. «Una indicazione fornita da Washington e Seul proprio a Pyongyang: un paese che pur governato da un partito comunista si è aperto da tempo al mercato. Una ‘piccola Cina’ che ha buoni rapporti con gli Usa», sempre Pieranni. Kim concentrato sulle questione economiche, e le sanzioni Usa sono il ricatto decisivo.
Il clamoroso fallimento del vertice di Hanoi ha un sicuro perdente e diversi vincitori, insiste severo Umberto De Giovannangeli sull’Huffington Post. Dove ha inciampato Trump? «Quello che gli strateghi di The Donald non hanno compreso è che per il regime di Pyongyang, per il “Maresciallo supremo”, l’arma nucleare è un’assicurazione sulla vita». E ad Hanoi c’era un ‘convitato di pietra’, potente, e pervasivo. «The Donald ha ringraziato Pechino. Niente di più lontano dal suo pensiero. A vincere ad Hanoi è stato l’ambizioso e determinato presidente della Repubblica di Cina, Xi Jinping». Kim poco amato da Pechino, ma peggio sarebbe una Corea del Nord ai suoi confini in orbita americana verso una Corea unificata.
‘America first’ in chiave asiatica porta in rotta di collisione non solo con la Cina, ma anche col presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin. Oriente cruciale anche per la Russia. Vedi la nuova cooperazione militare tra Mosca e New Delhi (con il Pakistan che sempre più attratto nell’orbita cinese), e adesso con il Kashmir, sono guai.
Cosa accade attorno, tra i molti comprimari direttamente interessati? Corea del Sud, con Moon Jae-in certamente deluso, ma c’è ancora una trattativa in corso e un rinvio era tra le ipotesi più sensate. Quali tempi e attraverso quali nuove tensione, è la paura di molti. Dagli Usa segnali di tempi lunghi per un terzo vertice, col segno elettorale di tigìfosi trumopisti, per una pax coreana firmata da Trump alla vigilia delle elezioni 2020. In realtà è proprio Trump il perdente in questa fase, il solo che torna a casa senza niente in mano.
Bichiere mezzo pieno per Moon Jae-in e Xi Jinping, ma è sempre solo mezzo bicchiere, con problemi sia per la Corea del Sud sia per il gigante Cina. L’altra Corea alle prese con proteste per difficoltà sul piano economico. Ma anche Xi a Pechino deve affrontare un rallentamento economico e la lite sui dazi con gli Usa. Mentre lì accanto, Kashmir, tra India e Pakistan nucleari sta scoppiando un piccola guerra vera.