Quando la ferrovia non era TAV e c’erano il Re e Quintino Sella

Frejus e Quintino Sella

Quando la ferrovia non era TAV e c’erano il Re e Quintino Sella
Quando la galleria ferroviaria del Frejus fu inaugurata ufficialmente il 17 settembre 1871, Roma era diventata capitale del regno d’Italia da soli tre mesi: nonostante la «presa di Roma» fosse avvenuta il 20 settembre 1870, Firenze rimase ancora ufficialmente capitale del regno fino al giugno 1871. Dalla prima idea del traforo erano trascorsi una trentina d’anni che non erano stati anni banali. Nel 1840, anno del primo memorandum, sul trono a Torino sedeva Carlo Alberto, non era ancora entrato in vigore lo Statuto, ma soprattutto la Savoia oggi francese, faceva ancora parte del regno di Sardegna. Unire passando attraverso le Alpi le due parti del regno era ritenuto necessario e vantaggioso, anche se -in un primo momento- l’idea non suscitò eccessivo entusiasmo. Una decina d’anni dopo gli studi preparatori non si erano ancora conclusi, ma nel frattempo la convinzione di realizzare il traforo si era rafforzata, anche grazie agli sforzi di un giovane e brillante studioso di geologia che poi passò alla politica: a Quintino Sella fu infatti affidato l’incarico di studiare il problema della circolazione d’aria nella galleria.

Camillo Benso di Cavour

Nel 1857 Vittorio Emanuele II, non ancora re d’Italia (lo diventò nel 1861), diede ufficialmente il via ai lavori per la cui direzione erano stati coinvolti, oltre a Sella, alcuni tra i più illustri tecnici e docenti universitari del regno come Germain Sommellier, Sebastiano Grandis e Severino Grattoni. Da notare che nel 1857 non esisteva ancora nemmeno l’istituzione scientifica dalla quale nel 1906 sarebbe nato il regio Politecnico: la Scuola di Applicazione per gli Ingegneri, frutto della riforma Casati, fu infatti fondata nel 1859. Nello stesso anno si combatté però anche la Seconda guerra d’indipendenza e, come è noto, l’alleanza con la Francia costò al Piemonte la cessione di Nizza e della Savoia. Il traforo sembrò perdere il suo significato originale, quello di unire due parti dello stesso regno, ma non fu così. Nonostante dal 1860 la Savoia fosse diventata francese, intervenne lo stesso Camillo Benso di Cavour sostenendo l’importanza della prosecuzione dell’opera e soprattutto ottenendo dalla Francia la cifra di diciannove milioni di lire dell’epoca. Inoltre, dagli accordi stipulati, si convenne che l’opera avrebbe dovuto essere terminata in venticinque anni.

Un cantiere imponente

Una stima esatta è ovviamente difficile, ma un numero di quattromila operai impegnati negli anni della costruzione sembra la più vicina alla realtà. Mentre i lavori avanzavano si compivano anche altre tappe importanti dell’Unità d’Italia: nel 1864 un piccolo gruppo mazziniano tentò di far insorgere il Veneto orientale ancora sotto la dominazione austriaca, nel 1866 furono scritte le pagine oscure di Custoza e Lissa e nel 1867, a Mentana, con l’aiuto determinante di truppe francesi, i garibaldini furono sbaragliati sulla strada di Roma. Eppure, nonostante i dolorosi incidenti sul lavoro e un’epidemia di colera che mieté altre vittime, i lavori proseguirono fino alla caduta dell’ultimo diaframma della galleria il 25 dicembre 1870 e all’incontro dei due gruppi di minatori, ma non bisogna dimenticare che in Francia in quel momento si stava combattendo la guerra franco-prussiana. Alla conclusione, quando furono chiusi i bilanci anche dei costi umani dell’opera, risultarono almeno una cinquantina di vittime. Benché sia scorretto fare un confronto, viene da pensare alle diverse e ben più complesse condizioni in cui -più o meno negli stessi anni- fu costruita la maggior parte della rete ferroviaria degli Stati Uniti. Elevati, ovviamente, anche i costi materiali del traforo stimati in circa una settantina di milioni di lire del tempo, vera cifra da capogiro.

 

Le ‘meraviglie’ del secolo

Il traforo, fino all’apertura della galleria ferroviaria del San Gottardo nel 1882, era il più lungo del mondo e contribuì a far nascere quel clima di ottimismo e fiducia nella scienza e nella tecnica che avrebbe accompagnato la storia culturale del Vecchio Continente fino alla fine del secolo. Non si trattava tanto dell’accorciamento del percorso tra Torino e Parigi, quanto delle straordinarie interconnessioni che sarebbero diventate possibili da quel momento. Nel 1869 era stato inaugurato il canale di Suez accorciando notevolmente il tragitto dall’Inghilterra alla parte più ricca dell’impero, attraverso il traforo del Frejus divenne possibile un collegamento ferroviario da Londra a Brindisi: la «Valigia delle Indie», treno lussuoso e ancora per pochi passeggeri, percorreva il primo tratto di un lungo viaggio che, proseguendo via mare e attraverso Suez, si sarebbe concluso in Estremo Oriente. Era semplicemente accaduto che una linea ferroviaria, pensata all’origine per collegare due province dello stesso regno, non solo era diventata la linea veloce tra due grandi città capitali, ma aprisse anche una possibilità di collegamento mai immaginata con l’Oriente.

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