
Io non sto con i pastori sardi. Sto dalla parte di tutti gli sfruttati, di tutti quelli che vivono, lavorano, faticano e si battono contro l’ingiustizia nel cono d’ombra mediatico tutto l’anno. Sto dalla parte degli invisibili senza diritti, dei poveri di ogni luogo, delle vittime di un sistema che ha come unico valore di riferimento la massimizzazione dei profitti per pochi, a danno dei tanti.
Io non sto con i pastori sardi una volta ogni tanto, quando le televisioni mi fanno vedere la loro esasperazione, il latte versato, la rabbia delle facce stravolte dalla crisi. Io sto con loro sempre. Contro le istituzioni che fanno finta di non vedere, contro la grande distribuzione che si pavoneggia nella corsa al prezzo più basso e alla qualità più infima. Contro il sistema che appiattisce culture e diritti, che annulla la dignità del lavoro, in uno scambio asimmetrico tra culture, dignità, diritti e denaro, quel poco di denaro che sembra essere la chiave di volta di una società ingiusta.
Alzare la testa è necessario. Ed è giusto che lo facciano i pastori, i minatori, i braccianti sottopagati nei campi dimenticati dove la ferocia marchia il lavoro, i ricattati della salute nelle fabbriche che devastano le nostre terre, i giovani senza prospettive visibili incartati in mille promesse e un futuro di meno diritti, meno bellezza, meno libertà. Tutti noi che non possiamo restare seduti inermi di fronte alla caduta di ogni principio solidaristico, di fronte all’indifferenza crescente che genera mostri.
Dobbiamo agire, ma non sarà il ribellismo rapsodico e sterile a cambiare il mondo, a restituirci futuro. Sarà qualcosa che diverso, qualcosa che possa scavare nelle coscienze di tutti, che metta in evidenza con chiarezza i termini della questione. Che riesca a far vedere alle persone che il problema è più complesso e nel contempo semplice: da una parte ci sono gli sfruttati, dall’altra gli sfruttatori. Da una parte chi ha tutti i diritti e pochi doveri, dall’altra chi deve sottostare e vede venir meno i diritti conquistati da decenni di lotte. In ogni campo della vita. Nell’assenza di quella forza di riequilibrio tra poteri forti e cittadini che dovrebbe essere la politica in una democrazia.
Che fare? L’uomo deve ancora diventare tutto. Gli schiavi redimeranno i padroni. Così scriveva Elias Canetti nella provincia dell’anima. Bello pensarlo, bello pensare che in questa nostra provincia, lontani e gentili, si possa riflettere con chiarezza e coraggio sui temi reali del nostro futuro, sul fatto che sia necessaria una rifondazione dello spirito critico. E che si possano cominciare a cogliere dagli effetti le cause comuni che rendono terribile quest’epoca. Per farlo servono conoscenze, serve quella sapienza che ci viene dal passato e che deve rendere fertile il terreno del futuro. Occorre pensiero e occorre azione.
Per stare con i pastori, nel momento stesso in cui ognuno per le sue possibilità agisca contro il sistema di ingiustizie così consolidato e passivamente accettato. Come operai, professori, librai, cantanti, studenti e ricercatori. Ognuno nel suo. Partendo da quel passaggio chiave del nostro pensiero, quel “preferirei di no”, lento, profondo e soave, che deve innervare l’idea di un mondo diverso.