L’arte sarda che semina pietre e sapienza

Qualche giorno fa mi è stato chiesto di scrivere poche righe per dare il mio punto di vista sul lavoro di una persona che amo e stimo, Barbara Cau. Artista (anche se non vuole sentirselo dire), fotografa e soprattutto amica. Donna speciale, capace con la sua arte di sovvertire il mondo, di scavare dove nessuno sguardo coglie alcunché. Così ho scritto:
Sul piano obliquo dei sentimenti la ragione traccia itinerari continui, instabili. Lo sguardo, lo sguardo dell’artista, è anima e forme; incendia praterie, dipinge profondità imprevedibili, ricuce possibilità e agisce puro e selvaggio. Dialoga con l’amore e con il mistero in un incessante processo assoluto. Scivola. Riparte da un lembo. Vola via, tesse antiche visioni e nuovi punti di vista. Velando e rivelando”.

Trovo nelle sue opere una grazia e una potenza che spalancano il cuore. C’è la sua anima in ogni cosa che ritrae, che sia un gioco bianco di luci e sottili linee o che emerga senza permesso dall’oscurità. Conosco queste sensazioni. Le collego alla sapienza antica, alla terra che abitiamo, profumi e silenzi distanti, religiosi.

La mia conoscenza del cuore magico della Sardegna ha radici lontane. Origina da un viaggio iniziatico millenni or sono, dagli incontri fertili che il passare degli anni non cancella. Anzi, ogni volta che calpesto questa terra si accendono ricordi e fuochi di stupore. Si vanno a comporre mosaici di senso, i tasselli che sembravano casuali si scoprono necessari. La vita prende forma attraverso la meraviglia dell’insolito che ha attraversato il tempo, che è giunto come una freccia da luoghi sconosciuti. Ogni cosa come doveva essere. Passo dopo passo, nella gioia e nel dolore, nella scoperta e nell’assenza. Nell’irrimediabile e nel possibile.

Ho amato il ricucire il mondo rurale di Maria Lai, l’incredibile viaggio di una donna ardita e sapiente. Minuta e potente, l’ho vista spiegare la sua arte con dolcezza e semplicità, senza aggiungere, senza togliere: è quello che mostro e che è, di più non serve dire. Le stesse parole magiche che ho sentito pronunciare qualche giorno fa da Emo Formichi, identico cuore ruggente e segno che non tutto è perduto in questa epoca.
Ho amato i semi di pietra e il suono dell’universo di Pinuccio Sciola. Quando tutto farfuglia, solo l’arte ha il potere di lasciarsi riconoscere, di depositare nel cuore la bellezza che sovverte e mantiene vivi. Sono sensazioni che lego all’amicizia e alla cura che l’amicizia porta con sé come privilegio raro nei giorni opachi. Uno zigzagare nelle profondità degli incontri che ho fatto in un’epoca lontana e che sono l’essenza della memoria e della vita.

Con Pinuccio fu amicizia al primo sorso di rosso. Amicizia da pane spezzato insieme, notti di racconti e girovagare di campagne sarde. Con Rosi, Giovanni, Michela, Mari, Pablo. Oggi che ci ripenso vedo quelle serate a San Sperate come visite in un tempio sacro, dove la porta sempre aperta spalancava la speranza, toglieva la patina dell’oscuro tempestare d’inutilità, lasciava decantare le paure fino a renderle coraggio. In un tempo che ha preceduto ogni tempo e spoglia dalle fatiche del mondo”. Queste le parole dedicate a Pinuccio, quando si è spento. Parole per ricordare un gigante. Quanta potenza, bellezza e quanti legami intorno a quel tavolo: facce, sorrisi, artisti, muralisti, amici, bevitori e santi.

Barbara. Sono partito dalle sue foto che spezzano il pane della bellezza. Sono necessarie. Per riprendere a tessere con coraggio, e quello spirito di ardore e ardire anarchico e poetico, il passo del tempo. Sono immagini vive, risposta creativa alla stucchevole e conformista visione del mondo che riempie le pagine patinate di una cultura di potere. Qui si veleggia sul mare della cultura popolare, dove il seminare e il coltivare vincono sul profitto e sulla devastazione dei pochi contro i tanti.

Piano piano la storia si vela di ricordi che rivelano la traccia della vita. Che cosa conta davvero e che cosa non serve. Che cosa scivolerà via nel viavai frenetico delle cose inutili che sembrano fondamentali, e che cosa è destinato alla memoria e al futuro.

Atlante della sapienza rurale: della vite e dell’orizzonte

La finestra dell’abitare: dei presagi e del coraggio

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